Per sorpassare Insigne sulla fascia, ora deve andare forte. Fortissimo. A manetta. E così ha noleggiato uno scooter per scorrazzare tutta la domenica di relax per Ischia. Dries Mertens sprinta. Scatta. L’Europa League è il suo circuito, e fin qui le ha corse tutte. Sempre in campo, titolarissimo. Una certezza tra i tanti dubbi del turn over. Mertens l’asso di Coppe: pigliatutto con Sparta e Slovan, che sfugge contro lo Young Boys. Nel gioco delle (tre) carte sulle fasce, la sua, Benitez se la gioca il giovedì sera. Mertens in campo, Insigne e Callejon fuori: per tirare il fiato, gestire le fatiche, distribuire lo stress. Per badare, anche senza giocare, agli equilibri: questi, di spogliatoio. Dries Mertens il funambolo che tutti vorrebbero e che il Napoli ha: spesso in panchina. Abbondanza d’organico, qualità e quantità. Possibilità di scegliere e valutare. Ma pure difficoltà. Duecentosettanta minuti nelle Coppe. Sempre, in pratica. E due reti: entrambe con lo Sparta. Mertens decisivo. Esplosività, freddezza e dribbling. Piedi che tormentano, testa che si tormenta. Vorrebbe giocare di più e Benitez l’apprezza. Legittima ambizione di chi chiede spazio, fisiologica ansia di chi smania per riprendersi una maglia, stimoli di chi conosce il suo valore. Nove presenze totali in campionato. Ma 7 entrando dalla panchina. Spezzoni più che partite. Sprazzi di un talento che è lì pronto all’uso. Un titolare che è però ora soprattutto alternativa. E allora l’Europa League. Lo Young Boys di nuovo. Per dare una strattonata alla classifica e riscattare la figuraccia di Berna. Due a zero. Amarezza, fischi e contestazione: il pullman non aveva certo il suo dribbling per andar via alla delusione dei tifosi. Un’altra notte tutta sua. Mertens gioca. In quell’Europa League che ne rivelò al Napoli le virtù e ne aguzzò l’ingegno.