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I gattopardi del nuovo stadio

Stadio_San_PaoloNel grande teatro (o teatrino) della stasi urbanistica cittadina, da almeno quindici anni fa capolino, con una certa protervia, un qualche progetto di un nuovo stadio per il Napoli. Non si tratta di un tema peregrino. Nel mondo, in Europa, ma anche in Italia, le grandi attrezzature per il calcio, assieme ai flussi economico-finanziari che si portano dietro, rappresentano occasioni di riqualificazione urbana di cosidetti brownfields, oppure volani per la rivitalizzazione di aree periferiche, o, ancora, localizzazione di nuove grandi centralità per lo sport e il loisir in territori metropolitani interconnessi, decongestionando i centri urbani consolidati da funzioni non più compatibili. Non sempre l’operazione riesce nel migliore dei modi, ma chi si dirige verso Bari e lungo la Statale Adriatica intercetta lo stadio San Nicola progettato da Renzo Piano, oppure chi si avventura in direzione dello Juventus Stadium, può avere l’idea plastica di come funzionino operazioni sensate di questo tipo. In Europa, poi, tali iniziative, che mescolano architettura, progetto urbano, visioni politiche e interessi degli investitori privati, sono decine e si sono già concluse da anni. A Napoli, invece, è dai tempi delle giunte Iervolino che non solo si annuncia la costruzione di un nuovo stadio, ogni volta in un posto diverso, ma nella maggior parte dei casi si procede, con un’esilarante solennità, attraverso comunicati ufficiali, protocolli firmati e persino progetti preliminari già pronti. E così, il povero nuovo stadio del Napoli, in un minuetto divertente e ridicolo per i più, viene spostato da anni da un posto all’altro, per infine restare gattopardescamente dove si trova ora. O almeno questo si capisce dalle notizie sull’accordo in corso di definizione tra Comune e società, che ripesca sostanzialmente un progetto pensato per i mondiali di Italia ‘90, un quarto di secolo fa.
Nel 2007 era di moda la dismissione delle caserme. Il Comune intercettò nelle caserme Boscariello e Caretto a Miano un’area di sedime adeguata a contenere una nuova “arena” per il calcio e attrezzature complementari. Fu rapidamente elaborato e pagato un progetto di massima, si fecero riunioni con esponenti della Figc e del ministero della Difesa e decine di sopralluoghi: il tutto aveva l’obiettivo prioritario degli Europei del 2012. Dopo mesi di dibattiti e aver pagato consulenti e dirigenti, il progetto sparì da un giorno all’altro dall’agenda. Dopo qualche anno, lo stadio prese l’impervia via verso Ponticelli. Anche lì il progetto era già pronto, presentato da investitori privati. Contestualmente il Comune lanciò anche una incongrua “manifestazione d’interesse”, ma poi una serie di eventi sconsigliarono di piazzare il grande stadio del Napoli in quel groviglio di strade e smisurati quartieri di edilizia residenziale pubblica realizzati a caso e con un progetto urbano mai completamente rispettato e mai ultimato. Vista la difficoltà di inventarsi qualche altra improbabile area all’interno del territorio cittadino, allo stadio viene fatta prendere la strada di Afragola. Subito partirono i contatti tra De Laurentiis e il sindaco del Comune alle porte di Napoli. Si è capito che era tutto tempo perduto quando nella partita è entrata, più di recente, anche Caserta. Se si ragiona in una logica metropolitana, si dice, allora Caserta è una soluzione ottimale e ben connessa a Napoli. Di questa cosa è stato convinto soprattutto il sindaco del capoluogo di Terra di Lavoro, ma dopo qualche mese di interviste e qualche ipotesi sulle solite aree appetibili, si è capito che era tutto un parlare a vuoto. E così, dopo un irragionevole e comico peregrinare per la Campania, il progetto del nuovo stadio San Paolo è ritornato dove in fondo è sempre stato, e dove quasi tutti vogliono che stia: a Fuorigrotta. E a giorni si dovrebbe chiudere l’accordo definitivo tra Comune e società, con un maquillage della struttura originaria (progettata negli anni Cinquanta da Carlo Cocchia e altri giovani architetti) e il recupero di parcheggi interrati e altre opere abbandonate o mai messe in funzione dai tempi di Italia ‘90. La storiella del progetto del “nuovo” San Paolo, in sintesi, è una di quelle attraverso le quali si può capire la vera qualità della classe politica e dirigente locale e della cricca professionale e imprenditoriale che ci gira attorno, nessuno di essi con un’idea buona, nessuno disposto a rischiare un centesimo o un voto e nessuno con il minimo di ambizione di pigliarsi, un domani, il merito di una buona operazione.

La Repubblica

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