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Tony Esposito: “Maradona si allenava al ritmo di Kalimba de Luna”

di Carlo Ferrajuolo

I Grandi non hanno bisogno di presentazioni. I Grandi non hanno bisogno di fare rumore, di praticare arti circensi sul palco durante un concerto per attirare l’attenzione. Basta che i Grandi accennino un solo passo sul palco e la festa è pronta a cominciare. Suoni dal mondo, ritmi che nascono da un set di padelle o dal tamborder: uno strumento di sua invenzione, un “tamburo di frontiera” in grado di unire l’elettronica con l’Africa. Questo è quello che succede a Tony Esposito. Eccellente allievo dell’istituto d’arte, nativo del quartiere Chiaia, figlio di Luigi un barbiere di via Manzoni amante della musica classica. << Vengo dall’Istituto d’Arte, quello in piazza Plebiscito, eravamo un bel gruppo di ragazzi impegnati in laboratori di pittura, arti grafiche – racconta Tony Esposito -. tony-esposito-3Facevamo tante cose, persino i bozzetti per Edenlandia, con fiamma ossidrica, lana di vetro, gesso… Se a Edenlandia c’è ancora adesso la sagoma di qualche cowboy, beh, quella è mia! Mi sono sempre sentito un artista del colore, mi avvicino alla musica per colori. Non a caso non ho scelto la chitarra, che era così facile e comoda da suonare, ma non permetteva la frammentarietà dei colori. Con un quadro avevo cento colori davanti, con le percussioni ho cento tamburi colorati. In quel periodo, iniziai a disegnare gioielli e vestiti>>. Il ballerino Enzo Paolo Turchi era invece il compagno dei filoni a scuola… <<Scendevamo giù a Palazzo Reale, c’erano le ragazze, tra un caffè e una sigaretta si perdeva del tempo. La sera, però, mi divertivo con la batteria nel locale Grotta Romana, a Posillipo. Era solo un hobby, ma un giorno venne Gino Paoli e mi chiese di suonare con lui. Il tempo di fare le valigie e via a Campo dei Fiori a Roma, in compagnia di Alan Sorrenti.  Avevo già viaggiato con un gruppo, i Moby Dick, facevamo i pezzi rock dei Led Zeppelin, suonavamo in estate a Rimini, a Riccione, c’erano le nostre fan svedesi. Al Folk Studio, sempre a Roma, l’incontro con Francesco De Gregori, Francesco Guccini, Antonello Venditti, dopo un po’ Lucio Dalla, che prese in affitto una casa nel mio stesso palazzo…Tutte le sere nelle bettole di Trastevere, sognando a occhi aperti, mentre mio padre cominciava a ritagliare dai giornali le foto di quel biondo giovanotto con il ritmo nella testa, esibendole nel suo salone. Don Luigi ha fatto il barbiere per tanti anni in via Manzoni. Adesso è in pensione. I miei genitori mi hanno sempre incoraggiato, mi davano i soldi per partire, eppure la mia era, una famiglia modesta>>. Che non poteva permettersi di comprarti nemmeno la batteria… <<La prima la pagai solo per metà, era una Hayman, a due casse. Comprare strumenti a metà prezzo era la norma per i musicisti napoletani. Questo solo grazie ai fratelli Miletti, in via san Sebastiano. Abbiamo tutti un debito verso di loro. Gli davamo solo una parte dei soldi, eppure ogni volta ci accoglievano sempre con un gran sorriso…”. Intanto in città si parla sempre più di Tony Esposito e di un altro giovanotto che prometteva bene, Alan Sorrenti. <<A un festival a Licola, era il 1975, ci tirarono le zolle d’erba. Facevamo musica psichedelica, con i tamburi e i gorgheggi di Alan. Ricordo come fosse ora che lui, imperterrito, non si fece dissuadere. Continuò a cantare e dopo un po’ partì il primo applauso. Una consacrazione>>. Il tuo luogo d’infanzia <<il luogo con amici della mia gioventù è stato Mergellina, Via Manzoni, per me era un luogo di libertà, scendevo con la funicolare e mi accostavo agli scogli. Sognavo di partire. Ecco, Napoli è sempre stato un punto di partenza, mai un punto di arrivo. È come una mamma di tanti figli. Siamo conosciuti in giro per il mondo perché la nostra città ci ha vomitato fuori. Napoli. Lo diceva anche Andy Warhol: “La città più vicina a New York è Napoli, io vengo qua ed è come se mi trovassi a casa mia”>>.Negli anni settanta hai avuto anche due grandi esperienze artistiche Perigeo e Musicanova…<<Due grande esperienze importanti, la prima con una band di rock progressivo il Perigeo, mentre con i Musicanova suonavamo musica popolare>>. tony-e-maradonaCome nacque “Kalimba de Luna” che ha venduto dieci milioni di dischi in tutto il mondo ed è stata ripresa da Boney M?  <Kalimba è il nome di un antichissimo strumento a percussione africano, classificato come “lamellofono”, ed è simile alla Mbira, altro strumento africano, quindi traducendo dallo spagnolo la frase “Kalimba de luna” ecco che abbiamo “La Kalimba della luna”. E’ nata a casa di Joe Amoruso. Lo andai a trovare e gli dissi che avevo uno strano suono, un particolare ritmo nella testa…Joe ci lavorò su e con Remo Licastro e Gianluigi Di Franco, ex cantante del gruppo progressivo il Cervello, componemmo testo e musica. La produzione artistica fu di Mauro Malavasi. Nel 1984, vincitore della classifica della sezione big di “Un disco per l’estate”. >>.    A proposito di contaminazioni, ti possiamo considerare un precursore delle contaminazioni. Negli anni Ottanta non si parlava di questo mischiare le etnie, di attingere dalle diverse culture e dalle menti per poi tirare fuori un nuovo genere. Ti va comunque riconosciuto il merito che sei stato un antesignano, un precursore di quel genere? <<Per me era più semplice perché per un cantautore, per i miei amici, non era facile. Per me era facile perché in qualche modo io potevo, proponendomi come percussionista mischiare bene le sonorità e collaborare. Mi si deve riconoscere il merito che io ho messo insieme tutti i cantautori italiani: i musicisti che hanno suonato con me hanno suonato con Pino, e quelli con Pino poi hanno lavorato con Gino Paoli, e li ho fatti suonare anche con De Gregori… Ho sempre unito le persone. Alla fine ho cercato sempre di mischiare le cose, diciamo che sono stato un bravo impollinatore. Molti dei miei musicisti stanno in giro per il mondo. Io adesso se dovessi dirti del panorama italiano, ti direi che c’è un momento di grande dispersione, non c’è una new- age, un’onda, un nuovo rinascimento musicale, ma tutti stanno costruendo qualcosa, ci sono focolai di cose interessanti. Per esempio a me piacciono molto i Sud Sound System perché loro sono riusciti a fare del dub e a renderlo sempre più originale, sono arrivati ad avere un impatto vocale notevole, ad avere una bella originalità, così come nella mia città lo sono stati tanti artisti: gli Almamegretta sono stati molto bravi, i 99 Posse>>.Sei anche un creatore di strumenti: hai creato il tamborder. Come si crea uno strumento. Da dove viene l’idea di creare uno strumento che crei il suono?<<Ogni gesto nasconde sempre una cultura di base: io vengo dall’accademia d’arte, io vengo dal disegno. Uno che viene dal disegno, dalla pittura, viene chiaramente da un impatto con il colore; allora poi mi pongo verso la musica prima con un aspetto da colorista, cioè la musica per me è a colori, per me le combinazioni di colori è fondamentale. Quando io vado in Africa, vedo che ci sono delle cose molto colorate Io dicevo: io suono i tamburi, i tamburi di tutti, ma il mio tamburo personale qual è? E allora ho pensato di unire modernamente un po’ l’elettronica con quello che è invece il suono dell’Africa e nasce tamborder, che vuol dire tamburo di frontiera. Nasce uno strumento negli anni perfezionato ma unico. Ancor’oggi mi chiedono: “ma questo strumento che tu …”, le note di Kalimba le ho fatte con quello strumento, riesco a fare una composizione completa con quel particolare tamburo. Sono stato in America a fare musicoterapica, sono stato nelle università a mostrare questo strumento. Per cui la cosa è nata così, per caso, non ti so dire com’è andato il percorso. E’ nato magicamente per un errore. Stavo cercando qualcosa, io da solo smanettavo e unendo delle combinazioni pazzesche è nato quest’unico suono>>. Ci racconta il suo primo incontro con Pino Daniele? <<Grazie a Willy David, che mi fu presentato da Franco Del Prete, che era il nostro produttore discografico. Ero in giro con la Banda del Sole e Willy David, il manager di Pino, mi chiese di essere ospite dei suoi concerti. Il successo convinse David a chiamare anche James Senese e Tullio De Piscopo per dare inizio all’avventura del neapolitan power. Dopo cinque o sei anni ci lasciammo una sera in un ristorante. Ero felice di stare in quella meravigliosa band, ma pensai di tornare alle mie cose, per continuare il mio percorso. Io avevo portato l’Africa con Napoli, Pino voleva mischiare il blues con Napoli: a dimostrare che il sud è un contenitore dove le culture si possono mischiare. In realtà la musica, essendo un linguaggio multietnico e globale, si poteva benissimo mettere Napoli con il blues, con la world-music e, infatti, questo è successo. Pino rimane un autore fantastico, con una denominazione che non ha perso: è stato un autore del Mediterraneo, però con quella vena blues; come me con quella vena afro. Di Pino ho ricordi bellissimi,soprattutto di grandi concerti>>. tonyespositoPoi siete ritornati insieme, dopo 30 anni…<<È incredibile, ma un giorno ho incontrato Pino in un negozio di strumenti musicali a Monteverde e abbiamo cominciato a parlare e poi a suonare. Era forse il 2006. Poi  Pino ha chiamato James Senese, che non ha mai perso di vista, e poi ha chiamato Tullio e Joe Amoroso. Rino collaborava da qualche tempo con Pino e quindi…Siamo stati amici e fratelli e come succede spesso tra fratelli, ci siamo voluti molto bene, ma ci siamo anche litigati molte volte. Per anni non abbiamo più collaborato fino a Ricomincio da 30, un album nato dal desiderio di storicizzare quel gruppo importante (Pino Daniele, Tullio De Piscopo, James Senese, Tony Esposito, Joe Amoruso e Rino Zurzolo, nda) e dimostrare ai figli di quei padri che erano i nostri fans che la musica suonata dal vivo è una musica molto forte. L’ultimo concerto che abbiamo fatto insieme Pino ed io prima che lui morisse, è stato il 15 dicembre 2014 al Palasport di Roma. Dopo quel concerto, ci sentimmo per telefono e mi raccontò che si sentiva molto stanco, ma si stava comunque preparando per il concerto che avrebbe poi tenuto per Capodanno e in quell’occasione mi disse: “Tony, ho delle idee fantastiche. Passato Capodanno dobbiamo incontrarci, dobbiamo inventarci una nuova musica, tutta acustica, percussioni e chitarre classiche…“. Era veramente entusiasta nel parlarmi di questa nuova sinergia musicale e per la prima volta Pino ha chiuso il telefono dandomi gli auguri di capodanno e dicendomi: “Sai Tony, ti devo dire una cosa: ti voglio bene“. Questa cosa mi ha emozionato tantissimo, non ce l’eravamo mai detti, anche perché tra uomini di solito queste cose non si dicono. E io gli ho risposto: “Pino, anch’io ti voglio molto bene“. E questo “ti voglio bene” è l’ultimo ricordo che ho di Pino Daniele>>. Tony Esposito ci parla anche di un altro suo progetto: la Scuola di Musica Madville e del suo rivoluzionario metodo d’insegnamento per chi si vuole avvicinare a un nuovo strumento… <<La prima cosa che deve fare è quella tirar fuori tutta la sua confusione, tutto il suo caos… poi l’esperienza di un musicista che osserverà questo studente servirà a ripulire questo caos, e di trovare l’essenza artistica, la poesia… io voglio che i miei allievi mi dimostrino tutta la loro sgangheratezza, tutta la loro confusione…e pian piano saranno tirate fuori da questo sacco confuso tutte le cose essenziali. Adesso, per problemi di tempo, tra dischi, collaborazioni e tournèe in giro per il mondo non posso seguirli a tempo pieno, ma i miei collaboratori con loro stanne creando molte cose particolari>>. Provieni da una terra meravigliosa che ha dato molti talenti. E’ l’essenza e l’energia di Napoli che genera talenti così preziosi come il tuo?<<Il mio gesto sul ritmo parte dalla nascita in un posto preciso che è Napoli. Se fossi nato al sud, mi sei orientato verso altre cose, sarei un’altra persona. Per me è stata così importante la vicinanza di amici, “Nuova compagnia di canto popolare”, Musicanova insieme, i gruppi, l’incontro con Pino Daniele, con i Bennato: tutta la linfa vitale che a quel tempo era a Napoli>>. Franco Battiato ti ha definito “il re delle percussioni”…<<Franco è un amico. Poco tempo fa, no mesi fa, mi ha detto una cosa: “Tony, tu non hai persone che hanno seguito la tua strada, non hai eredi. Questa è una cosa buona per te che rimani a essere Tony Esposito, sei ancora l’uomo del tamburo, colui che ha inventato una strada; e una cosa brutta da un punto di vista della cultura”, perché in qualche modo è come se nessuno avesse avuto più voglia di far musica, tutti vogliono far successo con altre cose (con i computer, rappeggiando). Questa da un lato è un complimento perché in qualche modo la mia strada per me è sempre una strada aperta, però io che credevo di aver fatto scuola, ma gli scolari dove stanno? Che magari mi hanno anche superato, però dove stanno mi chiedo?>>.  Che cosa ha significato per te negli anni Ottanta – in quel periodo in cui nel nostro Paese non esisteva internet e quindi esisteva sicuramente una diffusione molto più ridotta, molto più paesistica e non globalizzata come adesso – essere il personaggio più esportato all’estero? Tra l’altro uno dei pochi italiani che era esportato all’estero in quel periodo che noi importavamo tutto il new-wave, come direbbe il tuo amico Franco Battiato, il rock italiano, no? <<Quel periodo era diverso, più difficile di oggi. Oggi le frontiere si sono aperte, oggi è più facile muoversi; c’è un momento di crisi, però ci sono dei grandi vantaggi. Oggi, tramite una forte comunicazione, tramite internet, tramite altri sistemi multimediali, ci si fa conoscere in un lampo in tutto il mondo, si sono mischiate le cose. Prima l’Italia era un po’ isolata, questo era un po’ il dolore degli Italiani, e oggi è diversa. Allora per me era una vittoria fantastica quella di aver oltrepassato le frontiere>>… Qual’è oggi lo stato di salute della musica? Molti cantautori storici non ci sono più e spesso si ha la sensazione di una crisi creativa, sia di contenuti sia di progetti musicali… <<Non so se sia giusto parlare di crisi creativa. Quel che è certo è che oggi l’attenzione è tutta concentrata sul mercato. Sei qualcuno solo se hai superato il milione di visite su youtube. Non voglio sembrare retrò ma io vengo da una storia in cui c’erano The Doors, i Cream, Jimi Hendrix. Anche in quel caso il successo era importante ma c’erano altre intenzioni oltre al mercato. Adesso siamo soggetti alla tracotanza dei rappers americani che confezionano video superlussuosi. E’ tutto più superficiale. Ma forse a essere più effimero è proprio il momento storico che stiamo vivendo. Non si avvertono forti motivazioni esistenziali. L’esplorazione di universi interiori ed esteriori come accadeva con i Who, o i Pink Floyd, o Kurt Cobain. Manca il senso dell’appartenenza. Negli anni ’40-’50 tutto era jazz e nel jazz ci trovavi di tutto. Negli anni ’70-’80 tutto era rock. Facevi musica indiana, country, Santana suonava quella “latina” ma era comunque rock. Non era solo un genere ma un contenitore artistico. Questa “appartenenza” oggi manca>>. Progetti futuri? <<Sono un musicista cui piace fare mille cose. Sto collaborando anche con un pittore e un ottimo pianista americano combinando musica e pittura ma ciò che mi appassiona di più è il progetto legato al disco Tam Tam Brass. Un disco, prodotto dalla Sony Classic, in cui metto le percussioni alla musica classica. Che potrebbe apparire un’operazione di blasfemia musicale ma che invece ha superato la diffidenza dei cultori della musica alta. E così, grazie all’orchestra dei fiati di Santa Cecilia che sono tra i più bravi del mondo, abbiamo reinterpretato pezzi di Bach, di Vivaldi e altri grandi. Il mio sogno era creare una stesura ritmica che partendo dalle coste dell’Africa del Nord, su verso il Mediterraneo s’incontrava con la musica colta europea. Avevo bisogno di questo incontro. Questa è la mia Africa>>. Sta collaborando anche con il famoso pittore americano Mark Kostabi? <<Anche con Mark un grande progetto, un disco dal titolo Kostabeat. Mark è un eccellente pittore, famoso, in tutto il mondo, ma anche un grande pianista, ha collaborato con Ornette Coleman, Tony Levin e tanti altri artisti internazionali. A Ottobre faremo anche delle tappe negli Stati Uniti.>>. E’ un grande tifoso del Napoli… cosa mi può dire del calcio Napoli oggi? << Quando vado allo stadio avverto da spettatore, lo stesso entusiasmo che vedo durante le partite in SudAmerica. I tifosi napoletani, sono molto passionali come gli argentini e i brasiliani.  Il Napoli gioca da grande squadra, esprime un bel gioco, con un grande allenatore. mister Sarri è il più bravo in Italia, forse tra i dieci in Europa. Ora dobbiamo solo vedere il Napoli giocare con squadre più forti… Ha un bellissimo gioco di squadra, la palla gira veloce e gli schemi sono molto collaudati>>. Cosa ne pensa di De Lauremtiis e del suo operato? <<Molti tifosi sono contro il presidente, non riesco a capire il perché…I tifosi del Napoli s’innamorano troppo dei calciatori che vengono in città… Il calcio è cambiato, la tv, gli sponsor, le multinazionali, gli sceicchi, i cinesi, che sono soltanto imprenditori e non tifosi. Il calcio è diventato molto aziendale, sono lontano i tempi di Viola, Ferlaino, Rozzi, presidenti amanti delle loro squadre. Abbiamo visto che anche Moratti e Berlusconi sono stati costretti a vendere per non fallire… De Laurentiis è molto oculato, analitico, razionale, riesce ogni anno a regalarci soddisfazioni>>. L’è piaciuta la campagna acquisti? <<Io noto che tanti soldi non fanno la differenza, perché se pensiamo a squadre come il Manchester City o Chelsea vincerebbero gli scudetti ogni anno, il Real Madrid non vince un titolo da diversi anni e non vinceva una Champions League da dieci anni. Il Manchester United quest’anno in che posto si trova? Campagna acquisti faraonica… l’importante è il gioco di squadra non i singoli. Il calcio è un po’ come la musica, quando componi un disco, bisogna trovare i musicisti ideali ed essenziali per quel progetto e così è anche il calcio oggi>>. Napoli largo ai giovani che si stanno dimostrando grandi talenti? <<Ottima scelta, ora il Napoli ha una rosa di milioni di euro e tante clausole. Milik, Zielinski, Maksimovic, Rog, Diawara, ottimi calciatori di prospettiva futura>>.  Higuain subito dimenticato dal popolo napoletano…<<Meglio così, basta parlare di Higuain… Enfatizzare un calciatore e controproducente, incitiamo i nostri e non quelli che non ci appartengono più. I napoletani sono stati bravi ad ironizzare Higuain, come De Crescenzo faceva nei suoi film>>. Sei stato anche autore della musica di introduzione alle partite del Napoli, durante i riscaldamenti…<<Si, venni contattato da De Laurentiis che mi chiese di assimilare tamburi e percussioni da far suonare allo  stadio durante il riscaldamento della squadra prima della partita>>. E’ vero che Maradona ti chiamò e ti confessò una cosa? <<Fu molto carino con me…Mi chiamò e mi disse: lo sai Tony “Kalimba de Luna” mi entusiasma!!! Ha un ritmo adrenalinico per i miei palleggi, un ritmo sudamericano…passionale…Questa frase mi è rimasta impressa. Diego era un puro, una persona molto umana,  un grande artista del calcio>>.

Carlo Ferrajuolo

 

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