PIANETA CALCIO

“Dica 4-3-3”. Napoli-Roma, stesso modulo per due filosofie diverse

Volendo semplificare parecchio il discorso potremmo dire che il 4-3-3 di Sarri va dritto all’obiettivo mentre quello di Garcia vorrebbe essere più avvolgente. Condizionale d’obbligo, nel secondo caso, dato che la differenza più rilevante tra i due sistemi sulla carta speculari è che quello del Napoli sta girando alla perfezione e quello della Roma a vuoto da più di un mese, dopo un avvio scintillante.
 

La differenza del centravanti. Quattro-tre-tre. Tradotto: un centravanti di ruolo (è ormai tramontata l’era del falso nueve) e due ali che lo accompagnano tagliando e convergendo o allargandosi e crossando. Tutto, in ogni caso, ruota attorno alla figura del “9”. E non è un caso che Higuain e Dzeko, ad oggi, siano lo specchio di Napoli e Roma. Sorridente e sempre in gol il primo, abbacchiato e sprecone il secondo.

Sarri e Garcia si differenziano soprattutto per come chiedono alla squadra di servire il loro terminale d’attacco. Le verticalizzazioni, meglio se improvvise, sono il pane quotidiano del Napoli, e Higuain ha dimostrato di gradirle fino ad abbuffarcisi: 14 gol in 15 partite, quasi tutti scaturiti dalla ricerca della profondità, favorita dal movimento degli esterni che gli liberano il corridoio giusto. Centrale, destro o sinistro poco importa, dato che il Pipita è praticamente ambidestro nell’incrociare in diagonale il pallone sul palo più lontano. Non è un caso che non abbia mai segnato di testa, in questo campionato. Semplicemente perché gli esterni non sono chiamati a servirlo dalle fasce, né tanto meno con palloni alti.
 

Esterni diversi. Insigne e Callejon, infatti, fanno un lavoro preziosissimo quando si accentrano, ricevono palla e immediatamente verticalizzano per il compagno. Allargandosi, invece, creano lo spazio per gli inserimenti da dietro (Allan, Hamsik). La filosofia di Garcia, almeno nelle intenzioni, è diversa: il gioco sulle fasce, inteso come superamento da parte dell’ala del suo avversario diretto, ha un’importanza enorme. Di conseguenza, ecco la scelta di due velocisti come Gervinho e Salah, che nella prima parte della stagione (quando stavano bene) hanno fatto la fortuna della Roma. I loro dribbling creano la tanto ricercata superiorità, ma due così li devi prendere con i loro pregi e difetti: saltano l’uomo 8 volte su 10, poi però istintivamente vanno a cercare la porta, con Dzeko che sta ancora aspettando i loro cross. Tre i gol del bosniaco finora: due rigori e uno di testa, su una palla che peraltro è andato a prendersi in cielo da solo.
 

Palla consegnata. I problemi della Roma, dicevamo, nascono dal fatto che Garcia continui a pretendere quel tipo di lavoro da tutti i suoi esterni, cosa che Iturbe e Iago Falque nell’ultimo periodo non sono stati in grado di assicurargli. Lo testimonia il numero di dribbling riusciti contro il Bate, partita da sbranare come lupi, da parte delle due ali “di riserva”: 0 sui 3 tentati, 20 palloni persi in tutto. Mario Sconcerti, tempo fa, era stato profetico notando una certa tendenza dei giocatori della Roma a “consegnarsi” il pallone sui piedi. Senza la ricerca dello spazio, la palla messa oltre la difesa, tutto diventa troppo prevedibile, immobile. Jorginho, davanti a sé, vede un perenne movimento appena gli arriva il pallone tra i piedi e deve solo scegliere dove destinarlo; non può dire altrettanto Pjanic.
 

L’ultima differenza. Centravanti, ali, regista: aggiungiamo alla lista anche il portiere. Reina, titolare indiscusso, ha sempre fornito un buon livello di prestazione toccando picchi di miracolosità come in occasione della parata su Miranda. Al contrario, Szczesny (che comunque vanta diverse paratone in questa prima parte della stagione) ha dovuto fare i conti con le critiche e la sfiducia di Garcia in almeno un paio di occasioni. Non rientrerà nel conto del 4-3-3, ma per certi versi anche un portiere sereno può fare la differenza.

Fonte: SkySport

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