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La Stampa: soldi riciclati per vendita Milan

La procura di Milano apre un’inchiesta sulla vendita del Milan passato da Silvio Berlusconi all’imprenditore cinese Yonghong Li nello scorso aprile per una cifra pari a 740 milioni. Lo scrive il quotidiano La Stampa. Sotto la lente d’ingrandimento è finita proprio l’entità della somma versata per l’acquisizione, una cifra che viene considerata “gonfiata”: una somma fuori mercato pagata attraverso canali internazionali. Un modo, secondo le ipotesi investigative, per far rientrare in Italia una sostanziosa somma di denaro.

Dal New York Times all’inchiesta

Dopo le innumerevoli domande circa la vendita del club rossonero sull’esatto iter per arrivare alla cessione del club e dopo i dubbi sollevati, nel novembre scorso, da un’inchiesta del New York Times secondo cui l’attuale proprieario del Milan, Yonghong Li, appariva “sconosciuto” sia in Italia che in Cina e nemmeno compariva nella lista degli uomini cinesi più ricchi o potenti, i pm milanesi hanno avviato un’ inchiesta che tra le varie ipotesi comporta anche verifiche sul reato di riciclaggio. Sempre secondo quanto riporta La Stampa, per sgombrare le ombre emerse durante la scorsa estate e per attestare la regolare provenienza del denaro cinese era stato l’avvocato storico di Berlusconi, Niccolò Ghedini, a consegnare in procura un documento ufficiale (“lecita provenienza di fondi”, l’esatta dizione), passato al vaglio di esperti di finanza. Ma alla base dell’apertura dell’inchiesta, invece, ci sarebbero nuovi documenti che dimostrerebbero l’irregolarità delle operazioni. Non è ancora chiaro da dove sia partita la svolta. Una traccia la farebbe risalire ai flussi di denaro partiti da Hong Kong.

Da Mr. Bee a Yonghong Li

Il Milan è stato ceduto per quella che viene ritenuta una cifra monstre, ovvero 740 milioni di euro (pagati in due tranche con la copertura dei debiti) se si considerano i risultati recenti ottenuti dal club prima dell’operazione. Campioni ceduti, campagne di mercato non certamente all’altezza di quelle del passato e risultati decisamenti scadenti rispetto al blasone del club. Addirittura prima che si materializzasse Li, Bee Taechaubol aveva provato a rilevare il club per una somma ancora più elevata, 960 milioni. Una trattativa, questa, che mese dopo mese si era arenata e che era stata liquidata senza spiegazioni particolarmente credibili (“l’acquisizione si è arenata per le cattive condizioni di salute di Berlusconi”, era stata la laconica giustificazione di Bee). In realtà durante la trattativa, la Tax&Finance, l’advisor che seguiva il broker thailandese era finita nel mirino degli investigatori milanesi per una frode fiscale a molti zeri. Poi l’arrivo di Yonghong Li giunto in pompa magna con presentazione sontuosa e una campagna acquisti finalmente degna del passato del Milan. Infine l’inchiesta del New York Times che a novembre aveva smontato l’idea di una proprietà capace di sostenere i costi della società e gli investimenti promessi per il futuro nemmeno attraverso le attività estrattive della Guizhou Fuquan Group, società di riferimento del finanziere cinese. Sempre secondo il quotidiano torinese, a questo punto Li potrebbe percorrere due strade: vendere azioni della società o quotarla in Borsa.

Fonte: SkySport

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