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Milan, la rinascita di Bonaventura e Calhanoglu

Dal derby in Coppa Italia vinto ai supplementari grazie a un gol di Patrick Cutrone, il Milan ha infilato una striscia di 10 partite senza sconfitte: 7 vittorie e 3 pareggi. Oggi è facile indicare quel derby come momento di svolta della stagione, ma non era affatto scontato intuirne i segnali dopo quella partita. Gli esordi di Gennaro Gattuso sulla panchina del Milan erano stati tutt’altro che incoraggianti. La sfida in Coppa Italia contro l’Inter seguiva due sconfitte pesanti contro il Verona (3-0) e l’Atalanta (2-0) ed era vissuta da Gattuso come una sorta di ultima spiaggia, nonostante fosse passato appena un mese dall’inizio della sua gestione («Se non avessi vinto la società mi avrebbe mandato via», ha detto con una battuta provocatoria qualche settimana dopo).

Il Milan aveva vinto soffrendo e giocando in maniera piuttosto passiva, un atteggiamento riproposto a distanza di pochi giorni anche a Firenze: una partita in cui ha subito 18 tiri (record negativo del campionato milanista), ma che aveva pareggiato (1-1) grazie a un gol di Hakan Calhanoglu pochi minuti dopo il vantaggio della Viola con Giovanni Simeone. A conti fatti, quel piccolo passo è stato invece un mattoncino decisivo nella striscia d’imbattibilità degli ultimi due mesi, e a fissarlo fu proprio Calhanoglu, che con Bonaventura forma la coppia di giocatori più importanti nella trasformazione del Milan.

Le difficoltà iniziali

Calhanoglu era tra i pezzi più pregiati arrivati al Milan la scorsa estate, e il suo acquisto aveva generato grandi aspettative, soprattutto per il suo incredibile modo di calciare il pallone e lo stile di gioco molto particolare forgiato dal sistema di Roger Schmidt al Bayer Leverkusen, tutto verticalizzazioni e tiri dalla distanza, che lo aveva trasformato in una sorta di feticcio. Calhanoglu ha dovuto quindi affrontare un difficile percorso di adattamento al gioco più votato al possesso di Vincenzo Montella. Subito dopo la sconfitta contro la Lazio, il primo segnale degli squilibri tattici e delle difficoltà che avrebbero fatto naufragare Montella, il turco aveva parlato apertamente dei suoi problemi: «Non è facile memorizzare tutte le informazioni date. Chiaramente ho difficoltà con la lingua, non ho un traduttore, a volte mi aiutano i compagni. Preferisco giocare dietro l’unica punta o come esterno sinistro d’attacco».

A inizio stagione Montella utilizzava Calhanoglu stabilmente da mezzala sinistra e spiegava così la sua decisione: «Ha bisogno di trovare la posizione, può giocare da interno o esterno d’attacco, ma avendo anche Suso avremmo troppi giocatori con la palla tra i piedi. Serve chi attacca la profondità come Borini». Montella intendeva probabilmente utilizzare la qualità di Calhanoglu per migliorare le combinazioni all’interno dello schieramento avversario e le sue verticalizzazioni per rendere più fluido il passaggio alla fase di rifinitura, un compito forse troppo complesso per le caratteristiche di Calhanoglu, che dà il suo meglio quando velocizza l’azione, ma è poco portato a gestire il ritmo e la direzione degli attacchi, a capire cioè quando bisogna accelerare e quando rallentare. Oltretutto l’assenza di chiari meccanismi di fascia ne aveva limitato l’impatto, spostando quasi tutto l’onere della creazione dal lato di Suso.

Il passaggio al 3-5-2 aveva ulteriormente complicato l’inserimento del turco: «Non ci avevo mai giocato, ho avuto difficoltà ad adattarmi», ha detto poche settimane fa in conferenza stampa prima della sfida in Coppa Italia contro la Lazio. Nel 3-5-2 Calhanoglu e Bonaventura erano in concorrenza per il ruolo di mezzala sinistra, e quando Montella ha scelto di cambiare ancora, utilizzando un sistema fluido che in fase di possesso prevedeva la presenza di un trequartista da affiancare a Suso alle spalle del centravanti, entrambi hanno dovuto fare i conti con degli infortuni. Giocando da trequartista, Calhanoglu aveva comunque trovato il primo gol del campionato, nel 4-1 al Chievo.

Anche la gestione di Bonaventura è stata un chiaro esempio della confusione che ha contraddistinto il Milan nei mesi con Montella. Ha giocato inizialmente da mezzala, ma col passaggio alla difesa a 3 è stato utilizzato anche da esterno sinistro a centrocampo, senza avere un terzino alle spalle che compensasse i suoi movimenti ad accentrarsi per facilitare la progressione della manovra. Pur guadagnando tecnica e pericolosità nella metà campo avversaria, il Milan finiva così per attaccare in maniera ancora più confusa, rinunciando all’occupazione razionale degli spazi, uno dei princìpi fondamentali del calcio di Montella.

Fonte: SkySport

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