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Corvino: “Il calcio italiano è in una situazione gravissima, occorre una strruttura autonoma per i settori giovanili”

E’ il direttore sportivo giramondo per eccellenza. I suoi talenti è andato a prenderli dal Montenegro alla Serbia, da Malta alla Svizzera, dall’Uruguay, alla Patagonia. Ha prodotto una quantità di plusvalenze da capogiro: Ledesma, Chevanton, Bojinov, Vucinic, Felipe Melo, Cerci, Jovetic, Ljajic, Nastasic, fino a Romulo. Pantaleo Corvino ora è fermo. Ma in quasi trent’anni di calcio la strada l’ha percorsa tutta, dai dilettanti alla A. Ha vinto 12 scudetti a livello giovanile, cominciando a Casarano e finendo a Firenze, è arrivato in Champions con la Fiorentina.
Gli manca uno scudetto. Ed è quello che cerca per decidere di tornare in sella. Lottare per qualcosa che non è ancora sul suo curriculum e che probabilmente può sentire di essersi già guadagnato sul campo a livello personale.
Corvino, da dove cominciamo: dalla supremazia del mercato estero su quello italiano o dalla crisi del nostro calcio?
«Il calcio italiano è in una situazione gravissima, soprattutto dal punto di vista economico, e rischia di andare verso uno stato comatoso. Ma si può fare ancora in tempo, bisogna sbrigarsi a salvarlo».
Però sul mercato perdiamo terreno: spendiamo la metà, un terzo di quello che si fa in altri Paesi. Certe operazioni ci sono “vietate” per il valore economico che esprimono. E il tasso tecnico ne risente.
«La realtà è una. Noi non abbiamo gli sceicchi, non abbiamo le multinazionali. Noi dovremmo avere il potere delle idee per contrastare quello dei soldi. Ma per far questo i presidenti dovrebbero fidarsi del management italiano, che è il migliore al mondo, lo sottolineo. Dei direttori sportivi, quelli che alla politica del parlare hanno sempre anteposto la politica del fare. E invece mi pare che, tolto qualche giovane che sta mostrando qualità, per il resto ci sia l’abitudine a far saltare tappe rapidamente. E i dirigenti esperti restano al palo. Eppure sono quelli che hanno creato le ricchezze del nostro sistema. Le famose plusvalenze».
Potrebbe sembrare un discorso personale, c’è anche lei tra i ds fermi. Spieghi perché il suo ragionamento sfugge dal personalismo.
«Ma no, io parlo in assoluto del valore di certi dirigenti, che non va disperso. E che hanno tutte le carte per stare ancora in gioco. Cito casi emblematici: pensate a Marino a Napoli con Lavezzi, a Foschi a Palermo con Cavani a Sabatini a Roma con Marquinhos. E prima a Braida con Thiago Silva. Sono quelli i grandi colpi che hanno alzato il tasso tecnico del calcio italiano e prodotto ricchezza: guardate a quanto li abbiamo rivenduti… Se non hai gli stadi di proprietà, i ricavi del merchandising, le risorse te le devono dare le plusvalenze».
Come Chevanton, Ledesma, Vucinic, Jovetic, Ljajic, Nastasic… Andiamo avanti?
«Quelli sono i miei, lasci stare…».
Quale dovrebbe essere la strada?
«La fiducia. Io ho avuto la fortuna di avere proprietari come i Filograna a Casarano, i Semeraro a Lecce e i Della Valle a Firenze, che me ne hanno data tanta. E con un management che è il primo al mondo, potrei citare anche l’Udinese in questo gruppo virtuoso, devi solo farlo lavorare, non tendere anche a emarginare progressivamente professionisti bravi. Anche se poi esempi positivi, che esaltano il valore della fiducia di cui parlo, ce ne sono».
Quali?
«Marotta alla Juve, Sabatini alla Roma. Marotta e Paratici il primo anno non sono riusciti a produrre risultati, Sabatini per due anni non è andato in Europa. Bene, le proprietà quella fiducia non la hanno mai tolta e la Juve i frutti li ha cominciati a raccogliere da tre anni, la Roma comincia ora».
Nella top ten delle squadre che hanno speso di più in Europa c’è solo una italiana: la Roma, decima.
«Proprietà? Americana. Vedete che dove c’è il soldo che arriva dall’estero i margini di manovra aumentano? La Roma vende benissimo, ma investe anche. ».
Calcio prossimo allo stato comatoso, ci ha detto. Le colpe?
«Delle storture assurde che sono state prodotte. Gliene dico una? Parliamo di razzismo e poi chiudiamo agli extracomunitari. Ricordo che una mia denuncia portò ad aprire da due a tre posti. E voglio aggiungere che io sono uno che stravede per il talento, da dovunque venga: e all’estero ho comprato moltissimo. Bene, la mia Fiorentina aveva otto italiani e solo tre stranieri dentro. Così come non sopporto il luogo comune secondo il quale troppi stranieri danneggiano le nazionali: perché non diciamo che il talento italiano si è abbassato di livello dal momento che non si gioca più in strada, e che è aumentata la concorrenza di altri sport?».
Cosa altro non va? I settori giovanili per esempio: lei ne può parlare con titolo, ha vinto 12 scudetti con i ragazzi. Si continua a parlare di dislivello eccessivo tra le Primavera e il professionismo però non si è fatto nulla a livello di seconde squadre
«Ma vi sembra normale che il settore giovanile sia accorpato sotto la Lega Nazionali Dilettanti? Che logica ha? Come possono, dirigenti occupati a gestire un mare di società e di squadre dilettantistiche occuparsi anche dell’attività settori giovanili professionistici? Serve una struttura autonoma con dirigenti dedicati e capaci».
Si aspettava il flop della Nazionale al Mondiale?
«Parlarne dopo quelle tre partite, era un po’ riduttivo. Il discorso andava affrontato analizzando le ultime sette prima del Mondiale. Un flop scritto. Ma dopo la tempesta c’è sempre la quiete. E ci si rialza»
E’ tornato Zeman, al Cagliari. Sensazioni?
«Lo ho portato in serie A a Lecce quando veniva da esoneri a fila e dalla retrocessione in C ad Avellino. Valorizzò giocatori come Vucinic, Bojinov e Ledesma che venivano dal nostro vivaio, magari con un rammarico personale per Pellè che ora vedete tutti quanto valga. Zeman mi fa ripensare al management italiano: penso a Pavone che in due epoche diverse gli portò a Foggia Signori, Bajano e Rambaudi, poi Insigne e Sau. A Zeman auguro di fare con il Cagliari quello che in A non gli è più riuscito da quel nostro Lecce».
Da stratega del mercato la intriga di più Suarez al Barça o James Rodriguez al Real?
«Quello è il mercato alla play station, con i soldi in mano. A me c’è un altro mercato che piace: Morata alla Juve o Sanabria alla Roma, con i nostri club che scommettono dove i colossi spagnoli non ritengono di rischiare. O la Fiorentina che va a pescare il giovane australiano Brillante. Questo è il mio mercato».

Corriere dello Sport

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