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Dieci anni dopo, piace meno lo stile De Laurentiis

Il Napoli di Aurelio De Laurentiis ha dieci anni. Nei giorni di una festa spenta dagli errori dell’ultimo mercato e da una brutale esclusione dalla Champions si registra un paradosso. Un uomo e la sua stessa creatura sono diversamente giudicati. Il club ha attraversato la migliore stagione di una storia che corre verso i 90. In poco tempo, dalle macerie della Fallimentare all’aristocrazia europea del calcio, dal nulla ai vertici della serie A, dal crac a un fatturato di 150 milioni con bilanci attivi. Ma se l’amore per il Napoli è esploso portando la sua platea virtuale a sei milioni di tifosi nel mondo, è in picchiata la popolarità di chi l’ha guidato in questo splendido decennio. Il nodo è qui: sono positivi i risultati ma sviliti i meriti di chi li ha determinati. De Laurentiis riceve molto meno di quanto ha fatto. Per riaprire un altro ciclo di pari fortune, deve interrogarsi. Capire i motivi del blackout. La fragilità di uno stile che ai napoletani ora piace meno. Guai ad ascoltare i cortigiani, ne respinga il consenso servile. Dove va se continua a sbagliare senza che uno solo, tranne forse l’imbronciato e deluso Benitez, provi a fermarlo? Il Napoli, chiuso il ciclo Mazzarri, ha mantenuto livelli e risultati, in un passaggio delicato. Era un club al capolinea, parcheggiato su un binario morto dopo il secondo posto da chi sapeva di non poterlo guidare al primo. Con Benitez, è nella posizione opposta: all’inizio di un percorso, con prospettive immense e un pilota di rango a dirigerlo. Ma in questa fase così favorevole perde la metà degli abbonati. Che succede? Se De Laurentiis si accorge che il cinepanettone è stantìo, che De Sica ormai ride da solo, che fa? Cambia. Bene, anche nel calcio deve cambiare. Cominciando da se stesso. Dal suo stile di gestione. Dal suo rapporto con i tifosi. È probabile che De Laurentiis abbia sottovalutato la sensibilità del suo pubblico. Un’utenza complessa. Il cliente deluso esce dal negozio e tace. Il tifoso no, il tifoso viene in bottega a comprare sogni per antico amore, perdona qualsiasi sconfitta, mai il dubbio di essere stato tradito. La reazione di questi giorni prova la sua passione. È quella che fece rinascere in C1 il Napoli con 60 mila tifosi ai varchi. Si è chiuso un mercato pessimo. Non per le operazioni fallite, ma per maldestra conduzione. Giornali, tv, radio, web diffondevano nomi eccitanti, da Mascherano a Kramer a Xavi Alonso. Si chiude con i rispettabili Koulibaly, Michu, De Guzman, Lopez dopo aver già perso Reina, Behrami, Fernandez per questioni di cassa. Ovvio che un pubblico deluso manifesti la sua amarezza, rinnovando solo la metà degli abbonamenti. Né basta l’appello di qualche minuto attraverso la radio di fiducia per recuperarli. Quei monologhi producono come i tweet dei politici pagine e titoli, ma non cambiano l’opinione degli elettori. La politica di austerità è legittima. Il pubblico la condivide se non si spargono per mesi nomi e fumo. Chi la colpa? C’è una sola verità tra le due possibili: trattative fallite per impotenza o solo strategia per tenere alte le speranze. Non è solo questione di soldi. Il Napoli può anche non spenderne. Ma deve dotarsi di una struttura capace di produrre reddito e risorse tecniche. La Juve vince anche perché indovina affari magistrali, da Pogba a Coman. Perché sa in anticipo chi è in scadenza di contratto e corre a prenotarlo come fece con Llorente, poi con Zuniga aprendo una falla nel Napoli. De Laurentiis ha un management così attrezzato, agile, informato? Indovinando i colpi di Lavezzi e Cavani, il Napoli si è tenuto a galla per due estati. Ora sconta spese sbagliate: da Vargas a Dumitru a Donadel, all’investimento da 27 milioni per Pandev. Pesa anche la svista su Verratti, bocciato da Mazzarri. Contro la Roma primatista del mercato con Sabatini, contro la coppia Marotta-Paratici della Juve, il Napoli chi schiera? Il presidente farà di tutto per migliorare i suoi rapporti con il pubblico. Già in Trentino programmava delle iniziative. Pensava di dare spazio e voce ai fedelissimi di questo decennio. Al di là dei monologhi radiofonici, ha tre carte importanti da giocare. La trattativa con Benitez volato in Inghilterra a riflettere, buon segno. Uno stadio a livelli di decenza. Una struttura vigile, ben collegata e tempista sul mercato. Di tanto parlare quest’anno sono rimasti troppi biglietti aerei, carta straccia. Già, volare è un po’ sognare.

Antonio Corbo per La Repubblica

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