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Il principe del calcio italiano è andaluso e si chiama Callejon

IL BOSS. Il principe del gol del calcio italiano è un andaluso di Motril che s’è preso già il meglio – il Real Madrid – ma che poi, un anno fa, ha scelto di vivere in prima persona e di evadere da quel cono di luce riflessa emanato da stelle di luminosa grandezza: Napoli, vamos, ed è stato amore a prima vista, una gragnuola di colpi sferrati alla diffidenza, una serie sferzante di prodezze e il riconoscimento tangibile a Benitez d’aver visto giusto. «Segnerà venti gol». Detto (da Rafa) e fatto (da Callejon): in una girandola esaltante di veroniche e freschi merletti, pallonetti più dolci del miele e sovrapposizioni fatali per trovarsi proteso verso l’abbraccio della folla.

L’AFFARONE. Otto milioni e ottocentomila euro: quisquilie, calcisticamente parlando; e in quel blitz illuminante, suggerito da Benitez, c’è la plusvalenza tecnica (ma anche economica) offerta dalla competenza e dalle conoscenze universali d’un tecnico che rischia in prima persona e tutela il patrimonio societario. Otto milioni e ottocentomila euro per portarsi a casa, al san Paolo, José Maria Callejon, il gemello del gol di Gonzalo Higuain, l’anima candida (con quel faccino da bravo figlio) che fa tutto ciò che gli viene chiesto, l’ala destra e la seconda punta, l’esterno alto di sinistra e quello basso sulla corsia opposta (contro il Catania) quando l’emergenza fa fuori tutti i fluidificanti: un tuttologo (nell’accezione positiva) capace poi di spaccare i pronostici e le previsioni e di presentarsi pronto per Del Bosque, semmai ne avesse bisogno.

JMC7. La sintesi della sua intraprendenza, l’espressione del calcio verticale di Benitez che Callejon ha nelle corde è nelle sette bellezze di quest’anno (trovate un gol che sia banale, anche uno solo), nella capacità di leggere i momenti, di nascondersi alle spalle dell’ultimo uomo e poi partirgli alle spalle, di accompagnare il contropiede o di suggerire la giocata che da cinque partite gli riesce alla perfezione, esaltando se stesso ed il sistema o, se gradite, l’idea.

UN ROMANZO. La «solitudine» (attuale) del numero primo nasce a Dimaro, nell’estate del 2013, in quella scelta di andare a vestirsi, per almeno un anno, con quel 7 che al Real Madrid era di Cristiano Ronaldo e che a Napoli eredita da Edinson Cavani, il totem d’un triennio irrepitibile, centoquattro reti che profumano di immensità: «Io non ho paura delle responsabilità».
Buona la prima, attraversata come una valanga azzurra, ma ancora migliore è questa seconda stagione, avviata spingendosi già oltre l’andatura del passato (quattro gol in campionato un anno fa, dunque tre in più stavolta) e vissuta osservando quell’orizzonte nel quale spicca la Roja ma anche «lo scudetto ancora possibile» che scorgeva il 14 ottobre, quando già ruggiva, alle spalle di Tevez ed Honda, poi rinchiusi alle proprie spalle. Questo sì che è un leone: e pure d’oro…

Corriere dello Sport

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