Crisi Hamsik, il capitano non sembra essere più il giocatore richiesto da mezza Europa..

9 Dicembre 20149 Dicembre 2014 Angelo Gallo

Tu quoque…? E in quel pomeriggio d’un azzurro tenebra, mentre il Napoli si dissolve, ciò che resta di Hamsik, della sua intoccabilità, d’una riconoscenza granitica, è la falla che si apre nel San Paolo e che divide lo stadio (equamente) tra la fedeltà cieca di chi non ha dubbi né incertezze e l’insofferenza incontrollabile di chi ha smesso d’aspettarlo come un Godot…. Tu quoque…? Perché otto anni non si sommergono con mezzo stadio che fischia, incurante di ciò ch’è stato e irritato da ciò che da sedici mesi sta accadendo: però intanto, nel suo piccolo, c’è una svolta «epocale», una frattura netta – incontestabile – tra chi ha scelto di osservare il mondo da Marekiaro, in qualsiasi posizione persino disagevole, e chi invece vorrebbe splendesse il sole in quella terra di nessuno nella quale, da un bel po’, vaga il «fantasma» d’un centrocampista che fu un po’ Gerrard e un po’ Lampard e che invece ha smesso d’essere se stesso.

NON VA.Non c’è Napoli senza Hamsik, per un settennato ch’è glorioso, ci sono qualificazioni in Champions, la vittoria della prima coppa Italia, una dimensione onirica raggiunta segnando a raffica, entrando nel club dei fedelissimi, diventando centrale allo sviluppo d’una squadra che ruota intorno ad Hamsik, la «bandiera»: perché intanto il mercato ha sussurrato che il «mister X» inseguito da Allegri per il Milan è lui; e quando Mourinho spiega che in Italia vorrebbe acquistare un calciatore, uno solo, gli indizi portano a lui; e non sono spifferi, né vocine, essendoci le conferme di De Laurentiis («me lo ha chiesto Moratti, ma è incedibile»). Ma il mondo è grosso, una palla che ruota: il Chelsea ha un inviato speciale una domenica sì e l’altra pure e soltanto il muro eretto dal Napoli frena i corteggiatori.

NO, NON VA. Il 7 dicembre del 2014 è lo spartiacque, perché Hamsik smette di godere della tolleranza collettiva e avverte, per la prima volta, d’essere un principe azzurro che ha perduto l’unanime consenso d’uno stadio ormai diviso, con una larga parte che «saluta» la decima sostituzione (su quattordici gare) con dissenso crescente, insospettabile. L’Hamsik che non t’aspetti è – tecnicamente, umanamente – un caso ufficialmente aperto, perché in discussione finisce l’uomo-simbolo di una belle epoque (ri)cominciata nel 2007 e tratteggiata da una felicità collegiale, da un’empatia scatenante, da una scelta di vita d’un giocatore elevato a totem e ritrovatosi con 874 minuti giocati (solo l’anno scorso peggio, ma s’era infortunato), due gol segnati (come soltanto nella sua prima stagione di A) e una valanga di cambi che ne sottolineano la vulnerabilità attuale.

E’ CRISI. Perché poi, persino al di là dei numeri, è un altro Hamsik, e non può essere una questione di modulo, d’un 4-2-3-1 al quale un calciatore del suo spessore, a cui Benitez concede libertà assoluta («scegliti la posizione»), l’allergia diviene manifesta. L’Hamsik del passato tagliava il campo in due, partiva per gli spazi – certo offertigli da Cavani – e invece il suo «sosia», adesso, indugia, fa torsioni, torna sul palleggio, converge verso il centro, non «sente» la porta, né le partite, che vive ai margini, mentre invece è ben dentro la sofferenza di chi sa di non rappresentarsi a dovere. «Abbiamo giocato male e così non siamo da terzo posto». Così non è Hamsik. Tu quoque…?

Corriere dello Sport

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