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Schürrle vede Napoli: «Per il mio Wolfsburg vale come una finale»

Schurrle Wolfsburg 2A inizio carriera André Schürrle veniva considerato un grande bluff. Sia chiaro: nessuno ne ha mai messo in dubbio le dote calcistiche. A 19 anni giocava al Mainz insieme a Lewis Holtby e Ádám Szalai. I tre si fingevano una boy-band. Prendendolo in prestito dallo stadio di Magonza si erano perfino dati un nome: «Bruchweg Boys». A ogni gol André usava la bandierina come chitarra, Holtby faceva finta di cantare e Szalai si fingeva batterista. Vennero perfino invitati in tv. Non per parlare, per suonare. Soprattutto André però era un bluff. La chitarra non la sapeva proprio usare. «E sono ancora scarso», ammette ridendo. Con i piedi tutta un’altra storia. Doppietta al Brasile nel famoso 1-7, assist a Götze in finale. E dopo aver eliminato l’Inter in Europa League, ora sfida il Napoli.

Il Wolfsburg con l’Inter ha vinto all’andata e al ritorno: aspettava di avere vita così facile?
«Non è stato facile. Sono andati in vantaggio da noi e al ritorno hanno attaccato fino alla fine. Quello che manca all’Inter è la sicurezza nei propri mezzi. Hanno buone individualità e lo hanno dimostrato, ma sono sembrati un po’ timorosi. Quando si affronta l’Inter ci si aspetta una squadra più forte mentalmente».
Col Napoli sarà più difficile?
«Penso sia una finale anticipata. Siamo le due squadre più forti fra quelle rimaste. Sarà difficile in trasferta, per questo dobbiamo vincere in casa. Lì l’ambiente è caldissimo».
C’è un giocatore che teme?
«Higuain. Ma tutto l’attacco del Napoli è forte, dobbiamo stare attenti».
Ha dichiarato di non sentirsi al 100%, ma due sabati fa ha segnato allo Stoccarda…
«Continuo a non essere in forma però. Al Chelsea giocavo poco e in Inghilterra ci sono così tante partite che non c’è modo di allenarsi bene e se non si gioca si va facilmente fuori condizione. Arriverò al 100% solo l’anno prossimo, dopo essermi finalmente riposato un po’ e aver fatto il ritiro».
Rapporto con Mourinho?
«Ottimo. Lui è semplicemente “The special one”. Non è un caso se i giocatori non parlano male di lui. È sempre onesto, sa come stimolare ogni atleta sia dal punto di vista mentale che fisico. Ti entra nel cuore e ti rendi conto che con lui giochi meglio, dai di più. Dopo il Mondiale sono tornato stanco e con qualche problema fisico. Non giocavo, la squadra vinceva e lui comprensibilmente non cambiava nulla. Io volevo giocare di più e allora sono partito, ma non ho mai avuto problemi con lui».
Perché a gennaio ha scelto il Wolfsburg?
«Questo club è proiettato al futuro. Anche se la società non dovesse investire sul mercato, resteremmo una squadra giovane. Molti quest’anno giocano per la prima volta un torneo internazionale. Non si può che migliorare. E qualcuno arriverà…».
I tedeschi in Italia hanno fortune alterne: partiamo da Klose…
«Per me è un giocatore e un uomo straordinario. Arrivai in nazionale a 19 anni: poteva considerarmi un antagonista, invece mi diede tantissimi consigli. Per me è stato un secondo padre. Lo è stato per tutti i più giovani, fondamentale per l’intera squadra. Non mi sorprende abbia segnato tanti gol pure quest’anno: ha una voglia matta di giocare, è malato di calcio. Per questo pure dopo il Mondiale vinto e i record raggiunti continua a impegnarsi al massimo. Ammiro tantissimo la sua intelligenza calcistica. Spero di incontrarlo l’anno prossimo in Champions».
Come si spiega invece le difficoltà di Podolski e Gomez?
«Andare in un campionato nuovo a gennaio non è facile. Lukas all’Arsenal giocava poco, quindi non è arrivato in buone condizioni. Contro l’Australia ha segnato: va servito nel modo giusto, noi in nazionale sappiamo come fare, i compagni all’Inter forse no. Mario invece… dispiace abbia avuto infortuni gravi e non abbia mostrato tutte le sue qualità. Ma qualche gol pesante per la Fiorentina lo ha segnato: visti i tanti problemi è significativo».
Mai stato vicino a un club di A?
«Ho avuto un contatto prima di passare al Chelsea (probabilmente con l’Inter). I Blues erano però l’unica società per la quale fin da piccolo avrei voluto giocare. Il calcio inglese, Londra, quel colore così intenso e quel quartiere così elegante. Era un sogno, non potevo rifiutare».
Capitolo Mondiale: più forte l’emozione per i due gol al Brasile o per l’assist a Götze in finale?
«Quella al fischio finale. Certo che fa piacere segnare e fare assist, ma nulla è paragonabile al fischio finale. Quella sera resterà irripetibile nella realtà come nella fantasia».

La Gazzetta dello Sport

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