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Provaci ancora, Milan: le grandi rimonte Scudetto

Nel 1987-88 Arrigo Sacchi condusse il Milan alla vittoria del primo scudetto dell’era berlusconiana dopo una super rimonta sul Napoli di Maradona (foto Ansa)

“È stato un avversario molto ostico, ma anche agnostico”. E se non fu una gaffe, ma soltanto un modo un po’ naïf per sottolineare che il “nemico” mancò di convinzione, non volle, ebbe quasi paura di spingersi oltre? Insomma, niente a che vedere con il suo Milan, quello che il 1° maggio del 1988 impacchettò e portò via da Napoli una delle rimonte più emozionanti nella storia rossonera. E nulla da spartire con il Milan di Zac, che recuperò 7 punti alla Lazio nel 1999; o con il Milan di Ancelotti e dei “Re Magi” Rui Costa, Kakà e Shevchenko che il 6 gennaio del 2004 regalarono uno spettacolo indimenticabile, illuminando l’Olimpico come un albero di Natale… Ecco perché dovremmo andare “oltre” le apparenze dell’aforisma sacchiano che la Gialappa’s consegnerà alla leggenda della tivù pallonara, poi convertita in youtubbara. Realizzarono quel sogno perché ebbero “fede” (o “fame”, come si dice oggi). Perché quegli avversari non erano meno ostici di questa Juventus, forse solo meno interessati, più agnostici: aveva ragione Arrigo.

Menu à la carte – Certo, la vittoria dei bianconeri nel derby complica maledettamente i piani di Vincenzo Montella, costretto ora a vincere nel Monday night  per tornare a -4 e rimanere attaccato al suo, di sogno. Ma il precedente ancelottiano – e l’ultima gioia in casa giallorossa con Allegri e Ibra nel 2010, che coincise con un altro scudetto – potrebbe perciò caricare il popolo rossonero di suggestioni, e un mare di “se”: se vincessimo questa e la prossima con l’Atalanta, e se la Juve pareggiasse con la Roma… Poi magari anche la Supercoppa, che sarebbe una bella botta per Max…

E allora “scongeliamoli” questi Milan da remuntada, piatti pronti da servire ai nostalgici delle tabelle, quelli da tre punti qua e pure là, che non contemplano sconfitte né digiuni; per “professoroni” delle statistiche da bar, fanta-allenatori d’antan, ex schedinari, pendolari e “gazzettari” del lunedì; adepti del neobomberismo e ultimi dei romantici o poveri illusi, a discrezione. In ordine sparso: “la doppietta di Virdis e il sorpasso al Napoli di Maradona”; “la parata di Abbiati su Bucchi a Perugia”; “non è brasiliano però, che gol, che fa. Il fenomeno lascialo là, qui c’è, She-va”. Ognuno con il suo coro, la sua filastrocca, svolazzando tra le generazioni. Per vedere l’effetto che fa.

L’Albero di Natale – Al Milan di Carlo Ancelotti lo scacco matto riuscì in 18 mosse, tante (o poche) furono le giornate necessarie ai reduci dal trionfo europeo di Manchester per mettere sotto la Roma di Fabio Capello e volare verso il 17° titolo. Sì, la vera “spallata” – in realtà – era arrivata tre settimane prima, nello scontro diretto. Da secondi, proprio come adesso, a tre lunghezze dai giallorossi (ma con una partita da recuperare per l’impegno nella finale di Coppa Intercontinentale, persa ai rigori con il Boca). Così, un po’ le assenze di due attaccanti di ruolo (Pippo Inzaghi e Tomasson, ma anche Montella era infortunato tra i romanisti) e un po’ il giramento intercontinentale di Silvio Berlusconi, finirono per generare l’intuizione di Carletto, che accese le lampadine dell’Albero di Natale (il 4-3-2-1, praticamente un abete disegnato sul campo). Con i due trequartisti Rui Costa e Kakà dietro l’unica punta Shevchenko, che risulterà decisivo all’Olimpico con una doppietta (e si ripeterà al ritorno con il gol-scudetto segnato dopo appena 72 secondi).

Piccola parentesi. Se apparisse un’operazione ancora troppo ambiziosa, ci sarebbero altri antenati illustri, più lontani nell’albo d’oro ma forse più vicini al “mood” fiabesco dei vari Lapadula e Locatelli: dei Milan partiti anch’essi da outsider, ma il tempo – e la fortuna – giocherà dalla loro parte. Coraggio.

Zac! – Come Sacchi – e successivamente Allegri – Alberto Zaccheroni conquisterà lo scudetto alla prima stagione sulla panchina rossonera. Era la Serie A delle “7 Sorelle”, di una concorrenza spietata: l’Inter di Ronaldo e Roby Baggio; la Lazio di Nesta e Vieri; il Parma di Crespo e Veron; la Fiorentina del Trap e Batistuta (che alla 15esima comandava con 6 punti di vantaggio sui milanisti); la Juventus di Zidane e Del Piero; la Roma di Totti e Zeman. Trascinati dai gol di Bierhoff, Ganz e Weah, dal leader Boban, dagli assist di Guly e dalle giocate di Leonardo, i milanesi festeggeranno a Perugia una rimonta senza precedenti (Lazio avanti di 7 punti a sette giornate dalla fine) con l’esultanza “epic” di Adriano Galliani, letteralmente “impazzito” alla paratissima del baby Abbiati sul perugino Bucchi (sul genere Donnarumma-Khedira nell’ultimo Milan-Juve).
 
L’Arrigo Sacchi Show – “Potrei anche non andare a Napoli, tutti i miei giocatori sanno perfettamente quello che devono fare”. Nel 1987-88 il Milan di Sacchi impiegherà 28 giornate (alla terz’ultima, le squadre erano 16) per mettere la freccia sui campioni d’Italia e regalare al presidente Berlusconi il suo primo, storico titolo. E lo farà nel modo più spettacolare, come piace al Cavaliere: vincendo 3-2 nel “regno” di Maradona, davanti a 90mila napoletani che, alla fine, applaudiranno la pièce offerta da Virdis, Gullit e Van Basten, pronti ormai a recitare da protagonisti su tutti i più prestigiosi palcoscenici internazionali. Ovvio, se gli azzurri non fossero crollati in quella maniera – un punto nelle ultime 5 gare – oggi sarebbe inutile ogni discorso e parte dell’amarcord andrebbe a farsi benedire. Ma se la Juventus sarà ancora in corsa per la Champions qualche punticino potrebbe anche lasciarlo per strada, in futuro. Senza specificare l’anno, però.

Fonte: SkySport

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