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Baggio, cinque volte dieci: alle origini di un campione

CALDOGNO (VI) – Il campetto dove tutto ebbe inizio non esiste più, e neppure la vecchia casa comunitaria e il cinema parrocchiale. Al loro posto sorge piazza Europa, il nuovo cuore di Caldogno, il bar, la banca, il porticato che snocciola vetrine. Di qua il campanile, di là la villa del Palladio. Cercando traccia delle origini di Roberto Baggio, che sabato compie cinquant’anni, cinque volte 10, bisogna chiudere gli occhi, immaginarsi la polvere, ascoltare il suo vecchio insegnante di ginnastica, Mauro Aldighieri. “Chi se lo scorda, il primo giorno di Roberto alle medie. Portai i ragazzi su quel campo e diedi loro un pallone. Ce n’era uno che aveva un tocco straordinario, una velocità e una capacità di coordinarsi mostruose. Chiesi al prete chi fosse. “Non lo sai? È Roberto Baggio”. Poteva fare qualsiasi sport, lo convinsi a entrare nella mia squadra di pallamano. Ma per poco, era impossibile sottrarre Baggio al calcio”.

Alla scuola Dante Alighieri c’è un’insegna nuova, dagli archivi di scartoffie sono state ripescate le vecchie pagelle di Baggio, non brillantissime in verità. “Col pallone non si mangia, lo vuoi capire? “, lo martellava la professoressa di lettere. “In classe con Baggio – aggiunge Aldighieri – c’era un ragazzo con disabilità motorie, Roberto si prendeva cura di lui e nell’ora di ginnastica giocava solo per farlo segnare. Ha sempre avuto una sensibilità straordinaria, d’animo oltre che di piede. Se vi pare schivo, lo è stato solo con i media. Non ha mai sfruttato la propria immagine più del dovuto. Poteva diventare dirigente all’Inter”.

Il primo allenatore, Giampietro Zenere, faceva il fornaio, ora ha una cartoleria che vende i giornali, in piazza. Il primo presidente, Mariano Revelin, ristoratore. Il primo mediatore, Paolino Brassale, grossista di formaggi. E papà Florindo gli insegnava il mestiere nella carpenteria di famiglia. Don Lino Bedin, allora cappellano a Caldogno, ricorda: “Mi sembra di vederlo ancora mentre si allena tirando il pallone contro l’ingresso dell’officina. In allenamento calciava le punizioni giocando a colpire il palo. Quando si trasferì a Firenze, mi disse che avrebbe voluto con i primi guadagni comprare il vecchio campetto e realizzare un centro di formazione per i giovani. Roberto è uscito dal calcio per saturazione, mi confessò “sono sazio, non ho intenzione di tornare, per il momento”. Lui non è uno che media. Ma, per come lo conosco, la cosa più logica sarebbe mettere a disposizione i suoi valori e le sue conoscenze per la crescita dei ragazzi nello sport”. Per tre anni è stato presidente del settore tecnico della Figc, si è dimesso polemicamente parlando di un programma di 300 pagine interamente ignorato. Però, parlando in paese con chi lo conosce, emerge che la ferita azzurra più grande non è questa, e neppure il rigore sulla luna di Pasadena, ma il Mondiale 2002 negato dal Trap: “Meritava di giocarlo, aveva fatto di tutto per rientrare, e non sarebbe finita così”.

Fra gli amici più stretti, “probabilmente l’unico fra i giornalisti “, Ivan Zazzaroni svela che “tre anni fa Roberto aveva fatto un’eccezione e accettato la panchina del Bologna dopo l’esonero di Pioli, poi la dirigenza cambiò idea in modo incomprensibile. Mi disse: “Allora è proprio destino che io debba rimanere fuori dal calcio”. Il suo grande timore è di sporcarsi, non è tipo da compromessi. Continua a rifiutare un sacco di proposte dalle tv. Essersi ritirato dalle scene è in fondo la cosa più dolce che Baggio abbia fatto, un atto d’amore per il calcio”.

Sono rare ora le tracce di Baggio. Ci sono i gol di suo nipote Nicola, attaccante nei campionati minori. I vecchi manifesti con cui gli animalisti per protesta tappezzarono il paese, furiosi contro il Baggio cacciatore, raffigurato in tuta mimetica. La maglia biancorossa autografata e regalata al tecnico Bisoli, appesa nello spogliatoio del Vicenza: “Nessuno è più patetico di chi sta sempre a lamentarsi, l’umiltà conduce alla felicità”, ha scritto Roby. Da dodici anni la sua vita è altrove, Altavilla Vicentina, una villa piantata nella roccia, un bosco immenso in cima alla salita fatta per i ciclisti. Il Codino, invece, è riposto a Grado, a casa dell’amico Ferruccio: Baggio lo tagliò prima di andare al Bologna e gliene fece dono. Da allora la ciocca riposa in una teca di vetro. In fondo, è pur sempre qualcosa di Divino.

Fonte: Repubblica

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