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Quagliarella: “Vicenda stalking ferita aperta”

Fabio Quagliarella durante la puntata de I Signori del Calcio

Passato e presente, gioie e sofferenze, vittorie e sconfitte. Un tuffo nel passato per Fabio Quagliarella, protagonista della puntata de I signori del calcio. Un’occasione per raccontarsi e ripercorrere la sua carriera, tra la scelta del numero 27 per ricordare l’amico Niccolò Galli e i primi passi a Torino e ad Ascoli.

Gli inizi

“Credo di aver fatto un’ottima carriera – inizia dicendo l’attaccante della Samp – forse potevo fare di più, me lo hanno detto in tanti. Però alcuni fattori me lo hanno impedito, poi con i se e i ma non so dove sarei potuto arrivare. A Torino, avevo tredici anni, mi sono trovato in questa società che non conoscevo e che mi ha dato l’opportunità di migliorarmi e diventare prima uomo e poi calciatore. C’è stata anche l’occasione di tornare dopo ma poi il Toro è fallito. Quando sono ritornato per la terza volta è stata una gioia poter dare il mio contributo disputando l’Europa League, vincendo al San Mames dove nessuna squadra italiana aveva mai vinto. E poi vincere il derby dopo vent’anni, da protagonista”.

Ascoli e Udine

“Ascoli è stata la mia prima vera esperienza da protagonista in Serie A, con Giampaolo che mi ha dato fiducia e mi ha fatto fare tante partite. Ricordo la prima da titolare in Ascoli-Milan, da quel momento ho fatto esperienza; lì non ho fatto molti goal, ma mi è servito molto quell’anno da protagonista. Poi mi trovo ad Udine inaspettatamente, perché ero in comproprietà con la Samp ed ero convinto di restare alla Samp perché avevo fatto una stagione stupenda. Invece mi ritrovo a Udine dove in un primo momento non conoscevo l’ambiente. Poi mi sono tolto delle bellissime soddisfazioni, ho giocato con giocatori fortissimi, che tuttora giocano nelle big. Ho trovato una società serissima, i Pozzo sono persone eccezionali perché hanno fatto molto per me e non li dimentico, i tifosi sono eccezionali e tuttora mi dimostrano l’affetto. Sono stati due anni meravigliosi. Nessuno se lo aspetta che un napoletano si possa adattare ad Udine, però mi sono trovato bene perché c’erano anche Di Natale e Floro Flores, quindi non mi sentivo solo, anche fuori dal campo andavo a mangiare nei ristoranti napoletani; ci trovavamo tutti, dunque alla fine un po’ di Napoli ce l’avevo anche ad Udine. Era tutto molto più semplice”.

Il sogno Napoli

“Prima dell’ultima partita di campionato in settimana mi aveva chiamato la società e il procuratore dicendo che c’era la possibilità che il Napoli mi volesse acquistare. “Non hai molto tempo per decidere – mi dicono – devi dirmelo domani”. Io gli ho detto che potevo dirglielo anche subito. Potevo tornare a casa, avevo il poster di Maradona e Careca, tutta la squadra del Napoli e della Juve Stabia perché essendo di Castellammare avevo il cuore gialloblù e azzurro. A volte da piccolo con mio padre andavamo al San Paolo, per me la domenica era sempre un evento emozionante. Parlai col presidente e gli chiesi se potevo avere qualche giorno in più di vacanza ed andai in Polinesia, quando rientrai a casa c’erano canzoni, pizze  e caffè col mio nome e io ancora dovevo indossarla quella maglia… Sapevo di avere una grande responsabilità, rappresentavo, per i tifosi, uno di loro in campo. Con me in squadra c’erano comunque Paolo Cannavaro, Gennaro Iezzo, Vitale e altri napoletani quindi potevo anche condividerlo con loro, ci dividevamo la pressione dei tifosi ma era bellissimo. Feci l’esordio a Palermo, poi ci fu la prima al San Paolo: che emozione nel tragitto per arrivare allo stadio! Ero teso, sudavo senza muovermi, sapevo che c’era una marea di gente. Mi dicevo stai tranquillo, “gioca come sai, non inventarti niente” per non rischiare di strafare”.

L’inizio dell’incubo

“Già prima del mio arrivo a Napoli iniziavano ad arrivarmi lettere anonime, minacce di morte, messaggi sul telefonino di ogni genere, a me, a mio padre, a mia madre e mi accusavano anche di essere un pedofilo e un camorrista. Da lì è iniziato l’incubo. Mi è mancata la serenità per giocare, era diventata un’ossessione, qualsiasi persona mi guardasse io ricambio con lo sguardo pensando che poteva essere lui a perseguitarmi. Non amo ritornare su questo argomento perché mi fa male, è come andare a riaprire la ferita che per tanti anni – non solo uno, due o tre mesi – mi sono portato dietro. I tifosi napoletani mi hanno comunque sempre dimostrato affetto, loro mi amavano e io li amavo, ci hanno diviso ma nessuno dei due voleva questo. Dovevo continuare a fare il professionista e cercare di fare la mia carriera. La vicenda è finita il 17 febbraio scorso. Sono stato tempestato di migliaia di messaggi di affetto di amici, tifosi del Napoli che chiedevano scusa. Loro non sapevano, ho fatto finta di niente quando mi dicevano certe cose, però sapevo che poi sarebbe arrivato il giorno della fine di tutto ed è stata una gioia immensa, ricongiungermi con la mia gente è stato il gol più bello che potevo fare”.

La Juventus

“Alla Juventus entri in una società dove c’è tutto, ognuno fa il suo lavoro e ti mettono nelle condizioni di fare i risultati. Entri nella famosa “mentalità vincente”. Fanno in modo che tu non abbia altri tipi di problemi extra-calcistici. Bisogna vincere, entri in uno spogliatoio di campioni, di fuoriclasse, quindi io che ero lì guardavo gente come Del Piero o Buffon, Pirlo, e li guardavo a bocca aperta anche se già ci avevo giocato in Nazionale. Però vivendolo nel quotidiano capisci tante altre sfaccettature. Gente che ha vinto, ha stravinto. Tanto di cappello, fuoriclasse amati in tutto il mondo”.

La Sampdoria e Giampaolo

Oltre a un rapporto speciale con Mourinho, Quagliarella parla poi anche di quello con Giampaolo, che ha ritrovato sulla panchina blucerchiata a inizio stagione: “Con il suo arrivo le cose non è che sono cambiate, nel senso che quando mi allenava Montella mi allenava il mio idolo, quindi ero felicissimo. Sono cambiate a livello di squadra, sono cambiati tanti giocatori e c’è stato un reset, siamo ripartiti con un nuovo allenatore che insegna calcio e tanti giocatori giovani; c’è voluto del tempo, però ora i risultati si vedono. Sono orgoglioso di far parte di questa società e ora che faccio anche il capitano in qualche partita è una cosa bellissima. Io non avevo mai fatto il capitano in vita mia, era un mio sogno, un sogno era di farlo con la maglia del Napoli però quel sogno mi è stato spezzato. Se penso a chi ha indossato la fascia in questa squadra, so che devo dare tanto”.

Passato e futuro

“Ho segnato più di 100 goal in Serie A, un bel traguardo, forse non lo immaginavo neppure io, però allo stesso tempo dico: forse potevo fare qualche gol in più. Poi ci ripenso e dico che i gol che ho fatto se li ricordano in molti, tipo quello in rovesciata contro il Chievo. Tuttora non sono consapevole di quando faccio determinati gesti, per me è istinto. So di essere coordinato, so di avere determinati colpi quindi provo con naturalezza. Meglio aver fatto qualche gol in meno che però la gente si ricorda. Futuro? Nel calcio non si sa mai cosa può succedere, il Napoli ha determinate ambizioni e io sono grande, diciamo così.. Però io sono molto contento che con la mia gente sia tornato il sereno. Di quello striscione, che è stato esposto in Napoli-Atalanta, ne ho fatto fare un poster e ce l’ho a casa. ‘Nell’incubo che hai vissuto, enorme dignità. Ci riabbracceremo presto, Fabio figlio di questa città’, c’era scritto. Non era un atto dovuto però è una cosa che mi ha riempito il cuore all’ennesima potenza”.

Fonte: SkySport

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