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La stagione di crescita di Mandragora

Skriniar, uno specialista del fondamentale, prova a servire il compagno sulla trequarti con una verticalizzazione. Appena lo slovacco alza la testa Mandragora intuisce la giocata e si muove lateralmente verso il destinatario del passaggio.

Se però i difensori avversari cercano di insistere col possesso basso, la prospettiva cambia. Se il pallone passa tra i piedi dei centrocampisti, i mediani del Crotone devono alzarsi in pressione su di loro, specie in situazioni scomode come le ricezioni alle spalle. Mandragora, grazie alla propria capacità d’analisi, invece di avventarsi sull’avversario può decidere di aggredire in avanti la linea di passaggio, per rendere ancora più minaccioso l’intercetto.

Col 4-3-3 Mandragora si abbassa per tornare nel proprio ruolo originario, quello di vertice basso di centrocampo. Spesso, soprattutto se riesce a passare in vantaggio, la squadra si abbassa a ridosso della propria area, per recuperare palla e, eventualmente attaccare il campo alle spalle degli avversari in transizione. I movimenti laterali verso la linea di passaggio possono ora essere schermati dalle mezzali.

Mandragora resta comunque fondamentale. Da metodista deve cercare di rendere impermeabile la struttura difensiva del Crotone, soprattutto con coperture preventive alle spalle dei compagni che escono in aggressione sul portatore di palla avversario. Così, se il difensore centrale esce alto in marcatura sull’attaccante che si muove incontro, Mandragora deve coprirlo al centro della difesa; se il terzino si stacca per aggredire l’esterno avversario, allora dovrà scivolare per non lasciare scoperto quel lato della linea difensiva. Un modo sempre diverso, in definitiva, di sfruttare l’innato senso della posizione di un centrocampista nato, ricordiamolo, nel giugno del ‘97.

Mandragora comunque non si limita a tappare buchi e a difendere le linee di passaggio. Anche quando deve giocare in riferimento all’avversario dimostra di avere delle ottime doti, seppur migliorabili. Quando l’avversario riceve spalle alla porta può decidere di aggredirlo non solo per allontanarlo dalla propria porta; come un polipo che avvinghia la conchiglia coi tentacoli per risucchiare il paguro, Mandragora riesce prendere contatto con l’avversario ed usare le gambe lunghe per provare a togliergli il pallone dai piedi o quantomeno per sporcare il possesso.

Leve lunghe di cui si avvale anche negli uno contro uno difensivi. Anche quando si tratta di difendere in isolamento, Mandragora cerca di restare sempre in controllo della situazione, provando a determinare le scelte dell’avversario tramite la postura del corpo. Si posiziona sempre in modo da negare la conduzione verso il centro del campo, invitando così chi porta palla a muoversi verso il fondo; in quel caso ha una discreta velocità che gli permette di non perdere terreno.

Il problema di questo tipo di atteggiamento, col corpo a volte troppo piatto proprio per negare il più possibile all’avversario il centro del campo, è che rischia di rendere prevedibile la sua fase difensiva. Se l’avversario ha la sensibilità di tocco giusta per puntarlo verso l’interno spostando velocemente il pallone, la posizione del corpo troppo frontale gli impedisce di seguire il movimento. Secondo Squawka vince appena il 38% degli uno contro uno difensivi, troppo poco per un giocatore con questo potenziale difensivo. Forse l’eccessiva fiducia nelle proprie doti di recupero finisce per indebolire la sua capacità di gestione dei duelli individuali.

Alla ricerca dell’habitat perfetto

La stagione di Mandragora a Crotone ne ha certificato il valore anche in Serie A. Soprattutto, si è dimostrato all’altezza di un campionato in cui non si prescinde dalla fase difensiva, soprattutto nelle squadre di bassa classifica. Se nella prima parte di stagione il suo talento palla al piede era rimasto nascosto tra le pieghe del sistema di Nicola, l’avvento di Zenga ha reso un po’ più evidenti le sue qualità principali.

Il nuovo Crotone è meno verticale di prima e cerca di avanzare con le combinazioni tra terzino, mezzala e ala tipiche del 4-3-3. Quando non riesce a costruire palla a terra non disdegna comunque il lancio lungo sugli attaccanti, soprattutto in quest’ultimo periodo con Simy punta e Trotta reinventato ala sinistra.

Mandragora non ha la centralità dei registi delle grandi squadre nel sistema offensivo rossoblù. Molte volte si limita a proporsi per poi giocare subito la palla verso la fascia. Tuttavia, la ricerca meno esasperata della verticalità gli ha permesso di giocare con più agio la fase di possesso. Col pallone tra i piedi emerge tutta la differenza tra Mandragora e i compagni; mentre gli altri cercano di giocare subito verso gli attaccanti, lui sa quando è il momento di dare una pausa all’azione e preferire un passaggio corto a una verticalizzazione poco vantaggiosa.

La sua tecnica a ridosso della difesa è un’ottima arma per costruire con calma ed eludere il pressing avversario. Sono aspetti che in un sistema che resta a vocazione prettamente diretta si intravedono appena. Come i suoi cambi gioco e i suoi passaggi di piatto sinistro in grado di affettare le linee di pressione avversarie.

I momenti in cui Mandragora ha avuto occasione di sfoggiare la propria superiorità tecnica suggeriscono che, per quanto sia stato bravo ad assecondare le richieste di Nicola e Zenga, l’habitat perfetto per lui sarebbe una squadra in grado di giocare con calma il pallone e di cercare uno sviluppo più ragionato della fase offensiva.

Di sicuro Crotone lo ha fortificato, ma sarà importante affermarsi in squadre con un approccio diverso al calcio. Il ricambio generazionale in vista alla Juve potrebbe essere l’occasione più importante per la carriera di Mandragora. Qualora non dovesse rientrare nei piani dei bianconeri dovrà comunque cercare una squadra di elevata caratura tecnica, dove far crescere le proprie qualità sia difensive che offensive e dimostrando di essere tecnicamente all’altezza dei migliori palcoscenici.

Fonte: SkySport

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