La missione del Cholo

Due anni fa, dopo la seconda finale di Champions League in tre anni, le riflessioni sull’Atletico Madrid e sul Cholismo avevano preso una strada piuttosto decisa: alla squadra di Diego Simeone venivano riconosciute un’identità tattica e mentale che riportava il calcio ad alcuni suoi antichi parametri. Se, come ha scritto Fabio Barcellona recentemente, «il Real Madrid riporta il calcio al suo stato primordiale in cui, semplicemente, la squadra più forte vince» – inteso come squadra dotata del più alto tasso tecnico individuale – l’altra metà di Madrid rappresentava un’idea di calcio opposto ma altrettanto primordiale: quella di un calcio dove vince la squadra dotata della migliore fase difensiva.
Ora che l’Atletico – dopo altri due anni – è tornato a giocare una finale europea, si può dire che il Cholismo sia passato ad una nuova fase. Simeone, nonostante le forti delusioni, ha mantenuto intatte le dispendiose idee di gioco e la visione religiosa che c’è alla base del suo calcio: non solo ha conservato la forza della sua fase difensiva, ma ha implementato alcuni princìpi di gioco che ne hanno migliorato quella offensiva. Il risultato è quello di una squadra più completa e che, come visto nella semifinale di ritorno contro l’Arsenal, crea un paradosso: pur essendo la squadra che tiene meno palla, è proprio l’Atletico a determinare il contesto e a costringere gli avversari a degli adattamenti per venire a capo della sua forza difensiva; è un paradosso perché di solito è proprio chi gioca un calcio speculativo, con la tendenza a stare la maggior parte del tempo senza il possesso, ad adattarsi all’organizzazione di gioco dell’avversario.
L’ultima evoluzione dell’Atletico
Da quando Simeone si è seduto sulla panchina dei colchoneros, l’Atletico in tutte le stagioni ha avuto un dato di possesso palla medio in Liga inferiore al 49.5%, lontano dalle altre squadre di vertice in Europa. E forse per questo all’Atletico di Madrid viene ormai troppo pregiudizialmente attribuita un’incapacità di organizzare fasi offensive che non siano contropiedi. Quest’anno, tuttavia, si è assistito a un interessante trend statistico: nonostante l’Atletico abbia ottenuto il più basso dato di possesso palla medio dell’era-Simeone (48.0%), per la prima volta la precisione dei passaggi è salita di poco sopra l’80%.
Il dato va messo in relazione con i nuovi princìpi di gioco dell’Atletico, che lo rendono più efficace che in passato nell’affrontare anche le difese schierate, un problema storico dei colchoneros. In particolare l’Atletico, che si schiera sempre con il 4-4-2, cerca in maniera frequente le verticalizzazioni verso il centro (verso Griezmann in particolare) o verso i mezzi spazi, che occupa con gli esterni di centrocampo che si accentrano, rompendo la rigidità del modulo e cambiando forma a seconda dell’interpretazione dei singoli momenti.
La riuscita di questo piano di gioco è testimoniata da un altro dato statistico: l’Atletico è la squadra che, dopo Valencia, Barcellona e Celta Vigo, sviluppa per più tempo il proprio gioco attraverso il centro (25%). E difatti effettua pochi cross (14 a partita, ne effettua meno soltanto del Barcellona).
Un esempio di come si muove l’Atletico nell’immagine qui sotto. L’ esterno di centrocampo lontano dalla palla (Correa) si accentra nel mezzo spazio sinistro, mentre quello sul lato forte (Koke) si abbassa e si accentra per aumentare la qualità in costruzione e lasciare campo al terzino (Juanfran). La seconda punta (Griezmann) si muove nel mezzo spazio destro per compensazione e l’Atletico, partendo dalle posizioni base del 4-4-2, finisce con tutti i 5 corridoi verticali occupati sulla linea più avanzata (da sinistra a destra: Flilipe Luis, Correa, Diego Costa, Griezmann e Juanfran) ispirandosi ai princìpi del gioco di posizione.
Fonte: SkySport