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A tutto Billups: “Da delusione a MVP delle Finals”

Anche a incontrarlo oggi, all’età di 41 anni, non si fa fatica a capire per quale motivo Chauncey Billups in campo sia stato così difficile da marcare per i suoi avversari. Quando scendeva sui parquet della NBA, specialmente nei suoi anni migliori a Detroit, Billups sapeva sempre cosa fare, come farlo e come sfruttare il corpaccione a sua disposizione per fare più male possibile agli avversari. Quando si metteva spalle a canestro erano davvero poche le point guard in grado di gestirlo, forte di una mole davvero impressionante confermata anche incontrandolo oggi, in calzoncini e maglietta, ospite d’onore della NBA Fan Zone di Piazza Duomo. Allo stesso tempo, basta parlarci per qualche minuto e non si fatica a capire per quale motivo la lega di Adam Silver lo voglia ancora tra le sue fila. Nel recente passato il suo nome è stato associato a quello dei Cleveland Cavaliers e dei Detroit Pistons per assumere il ruolo di general manager, senza però che nessuna delle due opzioni si concretizzasse. Ma non c’è alcun dubbio che prima o poi Billups lascerà il suo posto a ESPN — dove se la cava egregiamente nel dispensare la sua saggezza con spiegazioni sempre lucide davanti alla telecamera — per assumere un posto di rilevanza all’interno di the League, che sia dietro la scrivania oppure direttamente in panchina, opzione che non ha escluso neanche in diretta a Sky Sport 24, tenendosi aperta ogni possibilità. Oggi Billups è un ex giocatore di grande successo, un MVP delle Finals che per cinque volte è stato convocato all’All-Star Game e un campione NBA negli indimenticabili Detroit Pistons del 2004. Eppure è facile dimenticarsi i suoi trascorsi iniziali, quando nei primi cinque anni della lega ha cambiato squadra per ben sei volte, rischiando seriamente di perdere il posto in NBA. “Ero vicino a essere considerato un bust”, dice Billups sui divanetti della sede di Sky, senza girarci troppo attorno. “È normale quando vieni chiamato con la terza scelta assoluta del Draft ma non riesci a rimanere sul serio da nessuna parte. Devo ammetterlo: ai tempi non ero pronto a essere ‘The Guy’, ma avevo pur sempre 20 anni. E a differenza di molti 20enni a cui veniva data la palla in mano dal primissimo istante dicendogli ‘Fai quello che vuoi’, io non ho avuto quel lusso. Onestamente però è stato un bene: in quegli anni ho imparato a gestire le avversità, e questo mi ha formato come persona, prima ancora che come giocatore”. Dopo essere stato scelto dai Boston Celtics nel Draft del 1997, passano solo sei mesi prima che i biancoverdi di Rick Pitino decidano di cederlo a Toronto. Da lì in poi seguono in rapida successione Denver (dove dura poco, pur essendo atleta di casa, dopo i trascorsi al college di Colorado), Orlando (dove non scende neanche in campo per un infortunio alla spalla) e infine i Minnesota Timberwolves: “Quello è stato il momento in cui la mia carriera è cambiata: lì ho potuto imparare tanto alle spalle di Terrell Brandon, un giocatore che era — ed è ancora — incredibilmente sottovalutato. Poi ho potuto giocare con il mio amico Kevin Garnett; ho imparato da un veterano come Sam Mitchell come ci si comporta da professionisti; ho giocato per Flip Saunders, che era stato una point guard e che da allenatore mi ha dato grandi responsabilità. Lì la mia carriera ha svoltato: una volta arrivato a Detroit ero già pronto a guidare una franchigia e a essere il giocatore che pensavo di poter diventare”.

Fonte: Sky

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