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Calcio, allarme rosso: undici nuovi positivi. Un colpo alla ripartenza. I giocatori pronti a dire stop

Mentre sei li a discutere, combattuto fra il ripartire e il non ripartire, mentre provi a rialzare la testa, ecco che arriva un’altra mazzata: undici positivi in poche ore, otto giocatori di serie A e tre persone del comparto tecnico. La più colpita è la Fiorentina che dopo i tamponi e i test sierologici ha messo in quarantena tre giocatori e tre collaboratori di Iachini. Poi la Sampdoria con tre giocatori nuovi infettati e un recidivo. Infine il Torino con un contagiato fra i titolari.

Qualcuno dei soliti che spingono per ripartire comunque dirà che in percentuale sono numeri bassi, in realtà l’allarme e la paura sono ricominciati a circolare a dimostrazione che la situazione è sempre complicatissima e l’auspicata ripresa del calcio difficile da gestire.

La Fiorentina e la Samp, fra l’altro, erano già state pesantemente toccate all’inizio della Pandemia. La Fiorentina ha già avuto dodici contagiati, tre giocatori e otto dello staff e congiunti. Per alcuni il virus è stato difficile da superare e in un caso ha scatenato anche un dramma familiare. Dico questo perché tanti non si rendono conto di cosa potrebbe essere una ripresa del campionato senza le certezze e le garanzie sanitarie che al momento non ci sono. Ricordo infatti che una eventuale ripartenza a porte chiuse vorrebbe comunque dire mettere in moto per ogni giornata circa duemila e cinquecento persone e la stima è bassa.

La domanda è sempre la stessa: si potrà gestire una cosa del genere senza che si trasformi in un’altra battaglia sanitaria?

Nessuno con un minimo di raziocinio ed equilibrio, ovvio, al momento può e sa rispondere. Parlano e sparlano soltanto superficiali e populisti, naturalmente molti politici, quelli che hanno sempre trattato il pallone come un qualcosa da usare e non da amare. Quelli che pensano al mondo del pallone come a un qualcosa fuori o lontano dalla realtà. Mai però come in questo caso, la realtà deve far male e far riflettere, alla faccia dei 7-800 milioni di euro che il pallone perderebbe fermandosi. E’ vero, il calcio è anche una industria, ma quante industrie e quante attività economiche più essenziali del pallone sono ancora ferme in Italia? Milioni. Attorno ad esse, purtroppo, non vedo la stessa attenzione che molti populisti hanno per il pallone che regala visibilità. Per alcuni, però, questa volta maneggiare con poca cura potrebbe diventare un boomerang. Mi risulta infatti che anche fra i calciatori stia montando il partito del “fermiamoci qui” per paura del contagio e quindi della salute propria e dei congiunti. Ieri Gastaldello del Brescia l’ha detto chiaramente e Tommaso Damiani il problema ce l’ha bene in mente.

Come andrà a finire?

Ripeto la speranza di sempre. Speriamo che la situazioni migliori, che la prima mini-riapertura del quattro maggio possa essere gestita senza contagi di ritorno e allora fra dieci giorni riparliamone con la prospettiva di ricominciare a giocare attorno al dieci giugno. Magari il virus diventerà meno aggressivo, magari scopriremo che le misure adottate funzionano davvero. Ma le fughe in avanti non sono consentite.

Il calcio è uno sport di grande contatto e lo sappiamo, muove gruppi di 60-70 persone e trovare un protocollo approvato dalle autorità sanitarie, a naso, mi sembra un rebus non facile da risolvere.

Si ragiona, intanto, attorno a un altro protocollo, quello della possibile ripresa degli allenamenti collettivi del 18 maggio. E’ su questo che si discute in questi giorni e anche solo per gli allenamenti in gruppo le difficoltà persistono. L’incontro di ieri in Federcalcio si è chiuso senza aver risolto le solite criticità e il Comitato Tecnico Scientifico ora relazionerà il ministro della salute Speranza e quello dello sport Spadafora. I dubbi irrisolti sono sostanzialmente due e ruotano attorno alla possibilità di reperire un numero altissimo di tamponi e sul cosa fare in caso di nuove positività. Qualche perplessità c’è anche sui ritiri, alcune società non hanno le strutture adatte, ma anche questo si sapeva.

La settimana prossima ci sarà un vertice fra il premier Conte, i suoi ministri, la Federcalcio e la Lega. Forse decisivo. Il Governo si rende conto che la macchina calcio in moto per due mesi (giugno e luglio) se la situazione generale del Paese non migliorerà radicalmente, potrebbe essere una miccia accesa sotto il tavolo della ripartenza soft e sta quindi pensando da tempo se ordinare o meno lo stop definitivo. Fosse stato per Conte, se il pallone non avesse grande incidenza popolare, lo avrebbe già fatto.

Ma, come vi abbiamo anticipato la settimana scorsa, parallelamente all’idea dello stop, il Governo lavora anche per diventare parafulmine per eventuali cause legali e diatribe di vario tipo, per sollevare Federcalcio e Lega, pensando pure e riforme e iniziative varie che ammortizzino la perdita economica.

Scenari assolutamente aperti e nessuno si paragoni e ci paragoni alla Germania che ripartirà il sedici maggio. Hanno gestito in modo diverso il Coronavirus, hanno strutture migliori ospedaliere e sportive, e più risorse, compresa la possibilità di fare tamponi senza problemi.

Quindi teniamo alta la guardia e facciamo tutto il possibile per ripartire in sicurezza. Da questo non si può e non si deve derogare soltanto per fare un favore ai Signori del Pallone che fino a tre mesi fa non si preoccupavano di un deficit spaventoso di oltre 2,5 miliardi di euro e non pensavano a riforme, ma soltanto a stare sull’albero a cantare. E a mangiare.

Ora che sono arrivate le vacche magre per tutti, è giusto che anche il calcio metta mano a un mondo che non funziona più e ne cambi radicalmente le regole riavvicinandolo al sentimento popolare e a una sana gestione.

Intanto la serie C s’è arresa. E’ il campionato che negli anni ha sofferto di più perché in fondo non ha più senso, non ci sono né risorse, né spettatori, né sponsor per reggere a livello professionistico. Una valanga di società fallite (guarda caso sotto la presidenza Gravina) dovevano essere un bel segnale. Non è bastato e così ci penserà questo dramma umano e sociale a far ragionare.

Si chiude, come detto. Salgono in B il Monza di Berlusconi, il Vicenza e la Reggina. La quarta sarà il ripescato Carpi, ma il Bari e altre contestano il criterio della media punti utilizzato per decidere. Vedremo.

Comunque la riforma dovrebbe portare a una serie A da diciotto squadre, una B con due gironi da 18 squadre e tutto il resto semiprofessionisti (forse) e dilettanti. Si profila così il recupero in B per meriti sportivi di diverse società storiche, di grandi città, e fra queste potrebbe esserci anche il Bari. Vedremo però se avranno il coraggio di decidere cose impopolari a pochi mesi dalle elezioni della nuova presidenza federale…

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