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Raffaele Cantone, magistrato anti-camorra: “Tifo violento figlio di una società malata e senza valori, certezza della pena unica soluzione”

Siamo finiti in un vicolo cieco e ora, deambulando in quel vuoto pneumatico d’un pallone sgonfio, bisogna trovare la forza, le energie, le risorse per uscirne. Il calcio italiano del Terzo Millennio è un contenitore vuoto d’emozioni, è un labirinto nel quale s’è perso il senso civico dell’esistenza, la dignità di rappresentarsi elegantemente e persino la vivacità di alimentarsi attraverso idee d’un management precipitato negli abissi. Ma in questa fase di rinnovamento, da vivere attraverso la rottamazione, ci sono (almeno) cinque punti saldi da cui ripartire e gli stadi sicuri ma anche un piano d’intervento sulla legalità rappresentano volani imprescindibili. L’intelligence – in questo Paese meravigliosamente sottosopra – è però la forza neanche tanto segreta che consente d’aver fiducia in se stessi e Raffaele Cantone, ch’è magistrato, scrittore, osservatore critico ed appassionato d’assoluta integrità morale e intellettiva, può sostenere il sistema di gioco per lasciarsi alle spalle le rovine e trovare un varco affinché s’intraveda un futuro, un campo e un pallone che lasci rimbalzare con fierezza il made in Italy.
La sera del 3 maggio del 2014 Raffaele Cantone era all’Olimpico di Roma.
«E visse un senso di disorientamento, suddiviso in varie fasi: la prima, quella del rinvio della gara e della concitazione, con le poche notizie che si accavallavano e frastornavano; poi la partita, priva di coreografia partenopea; e infine, nella nottata, le voci sul povero Ciro, contradditorie come nelle ore precedenti. Di una cosa sono certo: nessuno aveva colto la gravità della situazione».
Mentre ora è sicuro di altro.
«Del rischio delle cosiddette ricadute. Io come cittadino napoletano sono fiero del comportamento della famiglia Esposito, della loro umanità e dalla loro cultura, dell’esempio offerto al Paese, perché le parole e gli atteggiamenti dei parenti di Ciro sono stati una lezione per l’Italia. Ma certi segnali vanni colti e so bene che le prossime partite saranno oggettivamente pericolose e potrebbero riassumere il desiderio di vendetta».
La tragedia dell’Olimpico poteva essere evitata?
«Dirlo dopo è indiscutibilmente semplice. L’organizzazione d’un piano di sicurezza richiede anche conoscenza ambientale, dunque del territorio: con un’attività scientifica, la vicenda di Ciro poteva essere prevista».
E’ una deriva.
«Che può essere fermata. Certo non proibendo le trasferte, nè chiudendo gli stadi, né eventualmente fermando le partite dinnanzi a cori razzisti. Sarebbero inammissibili sconfitte e significherebbe concedere un potere enorme ad una frangia di tifosi che resta piccola, che è una minoranza e va affrontata attraverso misure preventive».
Le citiamo, come sempre, il modello inglese: un pizzico di tatcherismo e magari anche un po’ di tolleranza zero.
«Va bene tutto, anche la sinergia tra le istituzioni ed i club, perché è improponibile credere che sia possibile garantire la sicurezza attraverso l’attuale nostro sistema. In questo momento, siamo perdenti: non può esserci tutela del pubblico attraverso questi steward, ragazzi sottopagati e privi di istruzioni sulle modalità d’intervento».
Come si estirpa il male? E, per cominciare, qual è la contaminazione?
«Verrebbe da dire che il primo, autentico problema è l’assenza, in questa gioventù, di valori morali. La disgregazione sociale favorisce certe comunanze. Ma c’è dell’altro: è indubbia l’esistenza di organizzazioni criminali all’interno del tifo organizzato; lo si intuisce dal vincolo di affiliazione, dai rapporti interni. La politica non c’entra, perché ormai ha smesso di concedere una sua identità persino alle curve: certo, restano alcune sigle, ma sono abiti dietro cui ci veste, oleografia allo stato puro, una simbologia vuota. Mentre il pericolo è la criminalità».
E le contromisure vigenti sembrano panna montata.
«Bisogna intervenire attraverso una ricetta unitaria che non sia figlia dell’onda emotiva, ma che abbia norme ferree. Qualcosa è stato fatto: ora ci sono i tornelli e pure i biglietti nominativi; e la tessera del tifoso, che qualche perplessità l’ha generata, ha offerto un contributo. Ma la strada legislativa offre ulteriori soluzioni ed il Daspo può essere utilizzato persino a livello preventivo. Poi bisogna verificare che le sanzioni siano seriamente applicate».
Va di moda chiudere le curve.
«Scelta che mi sembra poco funzionale ed assai rischiosa, perché espone le società persino al pericolo del ricatto, rendendole più deboli rispetto a frange ristrette di deficienti. Questo è un Paese con uno scarso senso civico, va detto, ma passi in avanti ne abbiamo registrati. Piuttosto, i club siano più attenti quando diffondono – direi anche legittimamente – i biglietti gratis: serve trasparenza, controllo, perché altrimenti potremmo trovarci dinnanzi ad un fenomeno subdolo».
Il magistrato cosa si augura?
«La certezza della pena. Esistono gli strumenti per arginare, combattere e rapidamente anche rimuovere questo marcio. Servono però pure le condizioni ambientali, direi culturali: sono stato a Monaco di Baviera e quello stadio pur distante dalla città è centro di aggregazione, un luogo quasi di culto. Provate a venire al San Paolo, invece, a visitarlo. Ma l’argomento introduce a riflessioni più ampie: capisco perfettamente le difficoltà dell’amministrazione comunale di Napoli, nel destinare una cifra consistente per l’ammodernamento d’una struttura ormai inadeguata. E allora servono nuove forme di intervento».
Project financing… Sa di utopia.
«Se ne parla soltanto. Ma i club vanno messi nelle condizioni di progettare per se stessi. E il regime di proprietà d’uno stadio appartiene alla filosofia economica d’una società di calcio, che è una azienda. L’esperienza della Juventus è positiva anche se l’espropriazione del terreno e poi la sua cessione a prezzo irrisorio non mi sono sembrati modi consoni; però la gente dev’essere attratta dal richiamo della partita e viverla degnamente. Altrimenti si resta a casa e si guarda Sky, che ci serve peraltro benissimo. Immagini oggi quanto costi mediamente una domenica di calcio all’italiano: il biglietto, lo spostamento, poi ci metti il parcheggiatore abusivo, figura non esclusivamente napoletana, che t’estorce un’altra sommetta. Allora a quel punto, visto pure il disagio, uno se ne resta in poltrona».
De Laurentiis ha votato Cantone a capo d’una task-force che freni anche il fenomeno delle scommesse.
«Ringrazio di cuore il presidente del Napoli per le belle parole e per la stima mostratami anche pubblicamente. Ma ho impegni assunti che mi rubano i pensieri ed io quando prendo un incarico non voglio deludere né me, né chi me l’ha affidato».

Corriere dello Sport

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