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Kiss Kiss, l’emozionante racconto di De Luca: “Un pranzo speciale con la famiglia Esposito”

Diego De Luca, giornalista di Radio Kiss Kiss, attraverso Facebook racconta l’emozionante incontro avuto nel pomeriggio con Antonella Leardi, madre di Ciro Esposito:

“Alle 14.00 in punto, così come da scaletta, termina l’intervento della signora Antonella. Difficile mantenere il distacco emotivo che impone il mestiere: ogni parola, ogni appello della mamma di Ciro rimbombano più nel cuore che nelle casse. Valter De Maggio termina la lunga intervista ed esce scosso dallo studio: “Davvero incredibile. La forza d’animo di Antonella mi lascia stupito. Dovremmo imparare tutti da lei”.
Angelo Ozzella, ingegnere del suono della radio, è pronto col suo zainetto per riaccompagnare la signora Leardi all’autolavaggio a conduzione familiare. Quell’autolavaggio dove Ciro trascorreva le sue giornate e dove la sua assenza oggi non è giustificata da alcuna spiegazione razionale.
“Diego, andiamo”, sussurra Angelo. Ripenso ai racconti privati di Antonella prima della trasmissione. Ciro vive nei suoi occhi, nella sua pelle, nelle sue cellule. Non resisto, scoppio in un pianto emotivo.

E’ lei ad abbracciare me, mi consola. La guardo: “Non so che dire, mi scusi. Non avrei dovuto lasciarmi andare così”. Antonella mi sorride con affetto materno, trasmettendomi un’energia positiva che mai riuscirò a spiegare.
Da qualche tempo custodisco gelosamente le mie nuove cuffie: Barbara, la mia metà, me le ha regalate per un’occasione speciale e decido così di non farle mai indossare a nessuno dei miei colleghi. Antonella Leardi doveva entrare in studio per iniziare il programma: “E’ senza cuffie”, penso. “Le do subito le mie”, dice il mio cuore.
Con Angelo entriamo in auto: direzione Scampia, l’autolavaggio non dista più di 15 minuti. Arriviamo dopo un bel po’ di traffico dell’ora di punta. Nell’officina ci sono Pasquale, fratello di Ciro, e Giovanni, il papà. “Stiamo per metterci a tavola, mangiate con noi?”. I tempi sono ristretti, dobbiamo tornare in radio. Come declinare l’invito? “Grazie, come se avessimo accettato. Gli impegni sono tanti e non possiamo trattenerci”. Scusa troppo banale. La voglia di sederci a tavola è immensa. Conosciamo anche Simona, la fidanzata di Ciro, i cui occhi raccontano il dolore di un progetto spezzato troppo presto.
“Se non restate a pranzo, mio marito si arrabbia”, dice Antonella. Pasquale rincara la dose: “Giusto 10 minuti, sedete con noi qui a tavola”. Con Angelo basta uno sguardo d’intesa e subito due sedie sono pronte per i nuovi commensali. La bolognese cucinata da Giovanni ha il sapore della convivialità. L’educazione, oltre l’unione, fanno sempre la forza. “Il segreto per rendere un piatto saporito ma digeribile è nella cipolla: mio figlio non la digerisce, io so bene come farla sciogliere in padella per conservarne il sapore e per non rendere pesante la pietanza”. In effetti è così. Non mangiavo una bolognese così buona da tempo.
Guardo Angelo, penso: “Però che bello. Quanta forza d’animo. Una tragedia infinita, un vuoto impossibile da colmare e volti così sereni”. Da li, aneddoti su Ciro. Le sue vacanze in Giamaica, la passione per il suo Napoli. Un tatuaggio desiderato ma mai realizzato per rispetto del padre. I valori, quelli veri, l’educazione, attraversano le classi sociali. La nobiltà, quella d’animo, prescinde da un conto in banca.
“Non mi dite che conoscete davvero tutti i film di Totò?” chiedo dopo aver ascoltato Pasquale recitare una battuta del Principe della risata. Da li, via al mio repertorio. Racconto di mio nonno, che aveva perso del tutto la vista in età avanzata e del suo amore cinematografico nei confronti di Totò. “Conosco i suoi film a memoria” – mi diceva. “Sono gli unici che riesco a vedere anche senza vista”. Da piccino, mi divertivo e ridevo nel guardare quei film in bianco e nero. Quasi tutti vivono nel mio cuore, il repertorio è vastissimo.
“Conosci Totò le Mokò”? Mi chiede Pasquale. “Lumaconi, Lumacò, Le Mokò”, gli rispondo. Mi batte il cinque, scoppiano i sorrisi. Attorno al tavolo una sedia vuota. “Chissà se Ciro sedeva la”, mi chiedo. Ma non oso domandare. Ciò che comprendevo, intanto, era il significato dello striscione “Ciro Vive”. E’ vero, è reale. Ciro è presente in ogni racconto, in ogni particolarità, in ogni sfumatura. E’ egli stesso che con il ricordo riempie in parte quei vuoti incolmabili. La famiglia Esposito merita risposte, merita giustizia. Quel giorno a Tor di Quinto poteva esserci un nostro amico, un fratello, un cugino, un nipote. La scomparsa di Ciro è la scomparsa di una parte di ognuno di noi. “Ciro vive”, ripenso. Lo sarà per sempre”.

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