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Insigne-day: Roberto ne fa tre, Lorenzo porta alla vittoria il Napoli

COPPIA DI TALENTO. La coppia che scoppia di talento è una miscela magica imbastita tra palazzoni alti, con cartelle che fungevano da pali e la fantasia che raschiava il fondo dei quartieri: Frattamaggiore, mica molto tempo fa, e fu così che nacque la premiata ditta Insigne&Insigne, una fabbrica del gol che produce emozioni in serie e che dal «Granillo» al San Paolo, dai pomeriggi periferici del football nostrano della vecchia, cara serie C si trascina sino al «prime time» televisivo della domenica sera.
Roberto e Lorenzo è un concentrato di genuinità che se ne va spasso con i sogni, li alimenta a modo proprio, li asseconda attraverso l’istinto, li esalta caricandosi dentro, nel nucleo familiare, rimanendo fedele a quell’educazione rigorosa che evita voli pindarici e suggerisce di scavar la terra con le mani – in questo caso i piedi – perché poi c’è più gusto nel godersi la gloria.

PREDESTINATO. Lorenzino Insigne è a modo suo un predestinato per il quale sono entrati in contrapposizione dialettica Zeman e Benitez, uomini che si stimano sul serio e che hanno però espresso la loro personale (e differente) visione di quel geniaccio: però in entrambi, e attraverso il proprio modello di calcio, c’è la possibilità di educare, di plasmare quel funambolo a un’idea, qualunque essa sia, 4-3-3 o 4-2-3-1.

LACRIME DI FELICITA’. Le lacrime napulitane che inondando Fuorigrotta sanno di felicità e di rabbia, perché è stata dura uscir fuori dal quel tunnel, da un’attesa terrificante, da quella morsa glaciale del silenzio o degli spifferi o della disapprovazione o dell’intolleranza: però adesso è un altro mondo, è un’altra vita, è un nuovo Lorenzo Insigne che può mandare al diavolo la malasorte, il terrore dipinto su quella faccia da amabile scugnizzo che non sa chi prendersela, certo non con se stesso, dopo aver visto il (primo) pallone rotolare sul palo e poi aver ritrovato Gillet accartocciato su un «piattone» che in altri tempi sarebbe finito nell’angolo lontano e però nella gloria.

RINNOVO. Qua la mano: perché stavolta che il peggio è una nuvola gonfia di nulla, vale ciò che Insigne e De Laurentiis si dissero tre mesi fa (al cospetto di Della Monica-Ottaviano-Andreotti, il management amico della Doa) in quel simbolico atto che rappresentava la firma – sulla parola – fino al 2019. Fu una promessa, strappata pizzicando le corde del cuore, per giocare d’anticipo, ed è un retroscena adesso che diviene fusione tra il Napoli e Insigne: «Dimmi che firmi ancora con noi». La cifra è un dettaglio che resta avvinghiato nel segreto, però c’è già la nuova data sulla scadenza (teorica) d’un amore che né il principe del Psg e né l’Arsenal per ora possono insidiare: perché tra gentiluomini, basta e avanza dirsi sì guardandosi negli occhi, evitando le procedure normali e persino la modulistica federale. Quelle sono le formalità successive.

LA BANDIERA. Però mica è stata una serata semplice e manco un lunedì normale, con il cellulare inondato dai messaggi e novanta minuti rivissuti in ogni fotogramma. Napoli-Torino è il tormento però, è innanzitutto l’estasi, è la sintesi di cosa sappia essere il calcio, perfidamente, diabolicamente esaltante: ti trascina dall’oblio di quel palo e di quella chance, che sono due gol «mangiati», all’euforia più smodata e però giustificata, sino a diventarla delirio collettivo. Uno a uno di testa – «ma chi l’avrebbe detto?» – e poi la parabola, quella che in genere cerca, per andare a pescare Callejon, per rimettere ordine in se stesso, nel San Paolo, nel Napoli. Per lanciarsi oltre: almeno sino al 2019.

LA STORIA. L’approccio quand’era davvero ancora un ragazzino. Provino a Sant’Antimo. Roberto impressionò gli osservatori. Fece assist e gol. Il sinistro dolcissimo. “Lo voglio”. Ma era troppo piccolo. E i dubbi dei genitori più forti delle certezze di Giacchetta, il ds. Giorni tormentati. Poi la scelta. Coi procuratori Ottaiano e Andreotti coinvolti. Lorenzo era già con gli Allievi del Napoli, e il sogno di entrambi era giocare insieme. Detto, fatto. Cinque minuti contro il Palermo. Per ora. Gennaio 2013. C’era Mazzarri in panchina. Quello che in ritiro, d’estate, li faceva dormire accanto come nella stanzetta della vecchia casa di Frattamaggiore, tappezzata di poster di calciatori e col Pocho (il cane di famiglia) che abbaiava al pallone.

CRESCE. Roberto il piccolo Insigne che si sta facendo grande. Allegro, estroverso, uno scugnizzo vero. Che fa simpatia. 17 gol in 25 partite con la Primavera. L’anno scorso una stagione maledetta a Perugia: tuffo in mare e spalla rotta, rientro in campo e frattura del quinto metatraso. Ora la Reggina. L’ha voluto Cozza. E Foti ha sprintato sul Mantova. Sei reti in campionato, il capocannoniere. Talento, forza e guizzo. E tiro: vede la porta. Ha una ventina di gol nei piedi. Robben del Bayern un modello di riferimento. Come Lorenzo.

Tre reti tutte in una volta non le aveva mai segnate. La terza è di quelle che sul web ha fatto incetta di “mi piace”. Talento e prepotenza fisica. Li ha saltati tutti ed è andato a far festa coi suoi tifosi. Un delirio. “Un giorno speciale”. Roberto Insigne il Re che ha fatto invaghire la Reggina. E non è solo storia di questi giorni.

AFFARE DI FAMIGLIA. Per gli Insigne il calcio è un affare di famiglia. Questione di DNA. Scientificamente dimostrabile, forse. Col cromosoma X, c’è anche l’1 e il 2: una schedina. Papà Carmine centrocampista della Casertana: allenatore Materazzi. Lorenzo è il “maggiore”. Marco e Antonio gli altri i fratelli che fanno gol tra i dilettanti.

INSIGNE DAY. «Per me è stata una grandissima emozione. Sto portando a casa con me il pallone». Un giorno da raccontare, insomma. L’Insigne day da batticuore. Lacrime, sorrisi e complimenti reciproci. Ma al telefono. L’abbraccio, in campo, quello dopo un gol, soltanto quando giocheranno di nuovo e davvero insieme. Nel Napoli.

Corriere dello Sport

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