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Alla Scala canta il Napoli

Alla Scala del calcio ci si presenta con le facce scugnizze e la voce da tenori. Ospite d’eccezzione, in smoking e tuta il Caruso degli allenatori: Maurizio Sarri. Come il buon maestro, da tutti indicati come baritono, e poi si affermò tenore, anche il figlio di Bagnoli dimostra che il teatro è solo un luogo dove esibirsi, la differenza la fa la voce. Il Napoli la fa grossa, con maturità ed esperienza. Partire calmi per poi aprire l’acuto. È così sia. Ci prova il diavolo con qualche fiammata, ma l’Otello geloso della sua area, protegge Desdemona-Reina con sagacia e cattiveria. Il centrocampo d’archi comincia ad accarezzare le corde giuste, ed è cosi che parte la nota che proprizia il primo Do di petto, manco a dirlo ci pensa l’eclettico Magnifico, colto e raffinato a poner la sfera nei piedi del gregario ,dal fiato lungo. Uno a zero. Sonnicchia il pubblico nel primo atto, mentre i protagonisti passeggiano tranquilli sul palco, scambiandosi battute senza troppo ferire. Alla ripresa, la musica si intensifica, il caro Lorenzo, origliando che la sua Firenze da segnali di svolta, decide che ora è il momento di dar vita al nuovo Rinascimento. Azzurro e di classe, sceglie come complice il Bandolero non più stanco, ma dal sorriso Gaucho e sfodera due acuti da applausi. Perchè si sa alla Scala, tutti si alzano alla prima quando lo spettacolo è degno di nota. La storia finisce o forse comincia proprio ora. Dai palchetti distanti si sentono cori inneggianti al colera, ma da queste parti i mal di pancia stanno passando, magari è uno stimolo diverso quello che attanaglia la falange rossonera. Prosegue l’opera. Addirittura Desdemona accusa sintomi di depressione e solitudine, ma la guardia di palazzo la tranquillizza promettendo di portarla a cena con colui che da solo l’ha impensierita. Rodrigo Ely, quel nome tanto caro al Manzoni della peste, che prima accarezza i guanti puliti, e poi per amore deposita la sfera nella propria porta. Otello sa, ma tace. Si va, via via, al gran finale, dove la lirica lascia spazio al popolare. Un crescente coro accompagna i tenori sudati e commossi, in ricordo di quel Surdato prima deluso e adesso di nuovo ‘nnamurato che salta, canta e addirittura riscopre un coro troppo vecchio ma che ancora fa rabbrividire. “Porompopero però” e chissà a quanti la lacrimuccia sia calata, quando con inchino a trentadue denti lasciando la Scala, i protagonisti hanno agitato il fazzoletto della riscossa. Il maestro Sarri, come il grande Caruso ha saputo saggiamente aggiustare gli spartiti,assegnare la giusta parte agli attori, collocare i musicisti nella giusta posizione. Dalla provincia fatta di palchi in legno e platee di plastica, all’Opera con la standing ovation. Spalle larghe, occhio lungo, e intelligenza ma soprattutto la bonarietà di chi è vero come un maestro di strada. Abbraccia tutti e sorride, perché l’aplomb è per chi va a teatro in smoking classico e puzza sotto al naso, non per chi ci arriva in tuta.

Armando De Martino

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