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Juventus, Bonucci: “Volevo lasciare il calcio”

L’esultanza di Leonardo Bonucci dopo un gol (Getty)

Il regalo più bello – Il dono più bello Leonardo Bonucci lo ha ricevuto in anticipo rispetto alle felicità Natalizie. “Con un regalo che ci ha fatto qualcuno più grande di noi. Il regalo è la fine della malattia, la fine della paura che è durata da luglio sino a pochi giorni fa. A Matteo ora ripetiamo spesso una sorta di mantra: sei tu il nostro campione, hai vinto la partita più difficile. Gli leggo libri di favole, le storie di Cars. È tornato a giocare con suo fratello, presto potranno anche ricominciare a fare la lotta. Finalmente sta bene fisicamente e psicologicamente”, Gioia che supera ogni cosa, inspiegabile. A Repubblica, il difensore della Juventus Leonardo Bonucci racconta i momenti drammatici legati alla malattia del figlio: “Tutto era iniziato in estate, vacanze a Formentera dopo i campionati europei in Francia. Tre settimane prima a Matteo era stata rimossa una piccola ernia inguinale. Una sciocchezza, eppure abbiamo avuto la sensazione che Matteo fosse diventato un bimbo diverso. All’ospedale pediatrico Regina Margherita una dottoressa meravigliosa gli trova una patologia acuta. Bisognava intervenire subito e il giorno successivo Matteo entrò in sala operatoria alle otto della mattina e ne uscì alle quattro del pomeriggio”.

Voglia di smettere – Bonucci torna a rivivere quei delicatissimi momenti: “Mentre superava le porte della chirurgia Matteo ci ha fatto il verso del leone, come se volesse infondere coraggio più a noi che a sé. Dopo ho raccolto il suo peluche, un orsetto bianco, mi sono seduto in un angolo della stanza e ho fatto una chiacchierata con Dio: sia fatta la tua volontà, gli ho detto, ma non dimenticare che è solo un bambino. Poi sono uscito dall’ospedale e ho trovato ad aspettarmi una trentina di persone, famigliari e amici. Qualcuno aveva chiesto un permesso dal lavoro, altri avevano chiuso il negozio. Per loro, per i miei compagni di squadra, per i tifosi, non soltanto della Juventus, che ci sono stati vicini in questi mesi ho pianto in tv. È stata l’emozione di un grazie. Matteo è tornato a casa il dieci agosto, a tredici giorni dall’intervento. Un recupero record. Non è stata la fine, i progressi lenti, abbiamo spiegato la situazione a Lorenzo, abbiamo parlato a lungo e pazientemente con Matteo per renderlo consapevole che era successo qualcosa di molto importante. In quelle settimane sono stato sfiorato dall’idea di abbandonare il calcio, avevo completamente accantonato l’obbligo di pensare al mio lavoro, non ci riuscivo proprio non ci riuscivo”.

Il ruolo della moglie – Bonucci ammette che per superare il momento difficile è stata determinante la presenza di sua moglie: “Martina mi ha convinto a resistere, con la sua determinazione, un’energia che sfiora la testardaggine. Lei mi ha convinto a sposarla, nonostante il nostro amore non fosse stato un colpo di fulmine, lei mi ha dato stabilità, sempre lei mi ha tirato fuori dal pozzo dopo ogni caduta, come quando mi sono trovato, da innocente, sbattuto nell’inchiesta sul calcio scommesse. Martina mi ha insegnato a essere fiero di me stesso nel bene e nel male. E ho capito che nel dolore tutte le famiglie si assomigliano. I privilegi si azzerano nella sventura, se vuoi riemergere devi lottare”. Ma adesso, finalmente, solo sorrisi e… ironia. Perché il piccolo Matteo è tifoso del Torino! “O gli proibisco di frequentare i suoi migliori amici dell’asilo – aggiunge Bonucci – o me lo tengo così. Ci corre per casa imitando la cresta di Gallo Belotti. Voleva farsi stampare sul retro della maglia granata il nome di Pogba! Gli ho detto che no, questo proprio non me lo poteva fare…”

Questioni di campo – Sempre nel corso della sua intervista a Repubblica, Bonucci torna a parlare di questioni strettamente legate al calcio, sconfitta in Supercoppa contro il Milan compresa: “No, non ho nessun rimpianto per la mancata Supercoppa. I miei modelli nel calcio? Sono tre: Carlo Perrone, che mi allenò alla Viterbese. Ero il centravanti e il capitano della squadra Berretti, avevo segnato quattro gol in sette partite, amavo essere decisivo, ma lui mi disse: Leo, devi fare il difensore centrale se ci tieni alla carriera. Cambiai ruolo di malumore, fu la svolta. Alberto Ferrarini, che è stato il mio mental coach: mi ha insegnato ad accettare i giudizi negativi senza più deprimermi e perdere la concentrazione. E Antonio Conte, che mi ha trasformato sul piano tecnico e tattico, e ci ha trasformati tutti alla Juve, prendendo una squadra dal settimo posto per portarla a tre scudetti consecutivi”.  

Fonte: SkySport

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