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Roberto Donadoni, che allena la calma: “A Bologna piace sognare ma qui lavoriamo per il futuro”

BOLOGNA. Roberto Donadoni, lo scorso febbraio il suo Bologna fermò sullo 0-0 l’invincibile Juve reduce da 15 vittorie consecutive. La affrontaste come una finale. Poi si fermò il Bologna.
“Non c’è un nesso. Chi trova stimoli solo in queste partite è un giocatore incompiuto. Quando giochi contro uno più debole devi entrare in campo con l’obiettivo di non fargli passare la metà campo. I giocatori di livello superiore ragionano così, quelli che invece si devono far dare lo spirito o la forza dagli altri sono di categoria inferiore”.

Più difficile fermare la Juve dell’anno scorso o questa?
“Questa. Mi basterebbe avere la certezza che dimostreremo tutte le nostre qualità. Mai affrontarli da succubi, con la sconfitta già addosso”.

Quando firmò tredici mesi fa si immaginava che avrebbe affrontato la Juve, l’otto gennaio 2017, da quindicesimo? Non sperava che il Bologna del magnate canadese Joey Saputo avrebbe avuto orizzonti un po’ più ampi?
“No, conoscevo la dimensione. Sapevo di dover puntare a campionati tranquilli, poi dall’anno prossimo verranno fatti investimenti maggiori”.

Se fosse un tifoso rossoblù sarebbe di quelli che “con Saputo va bene tutto tanto siamo in una botte di ferro” oppure di quelli che “una volta nella vita che abbiamo un padrone milionario, viviamo lo stesso di stenti”?
“Avere un padrone milionario è importante, ma io preferisco quelli con la testa sulle spalle. Anche io faccio presto a dire prendiamo questo o quello, ma poi i soldi sono i suoi. Bologna deve essere riconoscente a Saputo e al tempo stesso è giusto che abbia sogni e ambizioni. Anche io le ho, anche io vorrei allenare una squadra che sta tra le prime cinque. Ma poi so com’è la vita e sono obiettivo e aziendalista. È lecito immaginare un futuro migliore. Lo stadio e il centro tecnico nuovi non sono progetti da sottovalutare. Le intenzioni ci sono, poi in campo bisogna mettere una squadra sempre più competitiva, perché senza bagaglio umano e tecnico non si cresce”.

Esiste davvero la parola “progetto”, che usano tutti nel calcio, oppure l’unico progetto di un allenatore può essere solo quello di fare punti la domenica dopo?
“È soltanto letteratura. Per come siamo fatti in Italia, nella realtà non esiste nessun progetto”.

Esiste l’allenatore adatto ai giovani o sono adatti tutti ai giovani buoni?
“Ci sono quelli più bravi di altri ad allenare i giovani”.

A Bologna molti iniziano a dubitare che questa sia la sua specialità.
“Perché gioca Torosidis più di Krafth? Si chiedano anche perché gioca Masina più di Morleo o Nagy più di Donsah. Perché gioca ancora Totti a 40 anni e non un giovane? Ci sono giovani che dimostrano di essere più pronti di altri. Da fuori son tutti bravi a criticare, ci vuole buon senso. Mica mi diverto a tener in panchina chi vorrei che avesse più continuità. Gli allenatori possono sbagliare, ma io mica vado dal macellaio a insegnargli come si taglia il filetto”.

Quindi fermiamo l’Italia, se di calcio parla solo chi ha giocato o allenato?
“Ci mancherebbe, ma non si deve esagerare nel parlare senza cognizione di causa”.

Il suo basso profilo le ha dato più vantaggi o svantaggi in carriera?
“Non mi interessa, ognuno è se stesso e io con me stesso mi ci trovo bene. Non sopporto i falsi, non sono Jekyll e Hyde. Sono quello che sono, piaccia o no, faccia discutere o no. Non sono uno che scimmiotta o fa l’esibizionista per piacere al pubblico o alla stampa”.

O ai presidenti: si è mai chiesto, davanti allo specchio, perché è arrivato in Nazionale, avrebbe potuto anche tornarci dopo Conte, e invece non l’ha mai chiamata un grande club?
“Me lo posso anche chiedere, ma ci vorrebbe uno specchio che risponde”.

È più sorpreso dal boom inglese di Conte o dal flop di Mourinho?
“Le difficoltà di Guardiola e Mourinho dimostrano che siamo tutti umani, che anche l’allenatore più vincente in una situazione diversa può essere irriconoscibile. Ed è bello anche per chi non è Mourinho o Guardiola sapere che c’è posto per tutti”.

Si sente mai fuori posto in questo calcio?
“No, non mi piacciono tante situazioni ma porto avanti i miei concetti finché penso che possano cambiare qualcosa. Ci sono tante bruttezze nel mondo sportivo che non mi sento certo io quello sbaglia- to”.

Che senso ha il mercato di gennaio?
“Non ha senso un mese di mercato, come non lo hanno tre in estate, tanto si fa sempre tutto alla fine. E non ha senso giocare quando il mercato è aperto”.

E che senso ha la serie A a venti squadre?
“Ce l’avrebbe se almeno quindici fossero alla pari. È questione di soldi e ridistribuzione”.

Dice spesso, negli spogliatoi, “ai miei tempi”?
“Mai. Se non quando mi chiedono di qualche episodio del passato”.

Tipo: qual è la sua partita contro la Juve che non dimenticherà mai?
“Non lo so, Erano tutte belle sfide da giocare”.

Quel Milan-Juve del 1989 finito 3-2 con lei che si procura un rigore e poi segna il 2-2 su punizione all’incrocio, unica rete in carriera ai bianconeri?
“Non me lo ricordo”.

Fonte: Repubblica

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