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Pianigiani, addio Italia: “Che meraviglia la mia Gerusalemme”

“CERCAVO un posto non banale, una realtà con energia positiva”. È in Israele che la scorsa estate è ripartita la carriera di Simone Pianigiani, il coach diventato grande con Siena (sei scudetti consecutivi tra il 2006 e il 2012, l’ultimo però cancellato dalla giustizia sportiva) e ct della nazionale prima di lasciare il testimone a Messina. Pianigiani è l’allenatore dell’Hapoel Gerusalemme, club in forte ascesa, dal 2013 in mano a Ori Allon, un ebreo che ha fatto fortuna in America nel campo dell’informatica: “Ha idee chiare, vuole portare questa società tra le prime 20 d’Europa. La sua visione è una garanzia”.

Seconda esperienza all’estero dopo quella in Turchia al Fenerbahçe. Il primo bilancio?
“Avevo voglia di lavorare in una realtà in crescita, in un progetto dove non ti chiedono di vincere una partita ma di impostare un percorso. A Gerusalemme abbiamo tutto, un’arena nuova che non ha nulla da invidiare a quelle Nba, 7000 abbonati, una continua energia a spingerti”.

Che Paese ha scoperto?
“Gerusalemme è una città speciale per quello che rappresenta, una società dove convivono tradizione e passato con una grande modernità. Sei immerso ogni giorno in qualcosa di molto stimolante da tutti i punti di vista. Una realtà facile da vivere, tutti parlano inglese, c’è grande fermento culturale. Il rischio attentati? È quello che si vive in tutte le grandi città. Qui hanno vissuto momenti peggiori”.

Quanto è sentita la rivalità sportiva con Tel Aviv?
“Ovviamente tanto, ma non è la sola. Il basket in Israele ha la copertura mediatica che ha il calcio in Italia, muove grande interesse, è sempre in tv. E poi le distanze, relativamente brevi, favoriscono il seguito dei tifosi. In campionato si gioca tre volte contro la stessa squadra, la formula di supercoppa e coppa di Israele coinvolge tante formazioni e quindi capita in una stagione di affrontare una squadra anche sei-sette volte”.

Ha costruito il suo Hapoel con diversi giocatori passati dall’Italia.
“Abbiamo dovuto tenere conto del regolamento che c’è qui che prevede due israeliani sempre in campo. Ho voluto giocatori capaci di giocare in più ruoli come Jerrells e Dyson, con tanta esperienza europea. Avevamo bisogno di certezze per essere subito pronti”.

Ci parli di Amar’e Stoudemire. Com’è allenare un giocatore che ha scritto un pezzo di storia Nba e che è anche co-proprietario del club?
“Intanto va chiarita questa cosa, Amar’e aveva delle quote del club che ha ceduto quando ha deciso di venire qui. Oggi è solo un giocatore”.

Un sei volte All Star da 18,9 punti di media in 14 stagioni Nba può essere uguale agli altri?
“È una persona particolare. Il suo legame con Israele è forte, si è convertito all’ebraismo, non è qui in vacanza. Mi ha colpito la sua umiltà, la voglia di rimettersi in gioco ogni giorno cercando di capire un mondo che è ovviamente diverso – per regole, spaziature e metro arbitrale – da quello americano. È sempre il primo ad arrivare in palestra e l’ultimo ad andare via. È bello lavorare con gente così”.

La vostra vetrina europea è l’Eurocup.
“Il livello è altissimo. Ci sono squadre – Malaga, Khimki, Bayern – che fino alla scorsa stagione giocavano l’Eurolega. Siamo in corsa per entrare nelle prime otto, per un club che non ha una grande storia in Europa sarebbe un passo avanti straordinario”.

La nazionale che capitolo è stato della sua carriera?
“Un capitolo straordinario. Abbiamo giocato grandi partite, battuto due volte la Spagna, siamo tornati tra le prime otto d’Europa e con un pizzico di fortuna in più potevamo essere tra le prime quattro. È un percorso di cui vado fiero. Mi auguro che il prossimo Europeo possa rappresentare la definitiva consacrazione di questo gruppo”.

Tornerà ad allenare in Italia?
“In questo momento credo che i miei percorsi professionali continueranno all’estero, sono queste le esperienze che ti arricchiscono “.
 

Fonte: Repubblica

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