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La versione di Zico: “Il mio calcio era felicità, oggi manca la bellezza”

UDINE “A 13 anni ero “O Galinho”, il galletto. Ero magro e secco, ma vivevo di calcio e per il calcio, ce l’avevo nel sangue. Non pensavo di diventare un grande, il mio unico sogno era indossare la maglia numero 10 del Flamengo, quella del mitico Dida che era il mio idolo da bambino. Eppure, se avessi 13 anni oggi, nessuno mi farebbe giocare”.

Addirittura, Zico? E perché mai?
“Il calcio è cambiato, in peggio. C’è qualcosa di vero quando si dice che il gioco non sia più lo stesso dei miei tempi. Non vivo di nostalgia, né è carino fare paragoni, però i calciatori di adesso sono diversi in tutto. A cominciare dalla tecnica, che una volta veniva prima di ogni cosa: oggi invece devi pensare agli schemi. Primo non prendere gol, anziché segnarne, che poi sarebbe il fine ultimo del gioco e la sua bellezza. Non a caso, le squadre che vincono sono ancora e sempre quelle che pensano a far gol”.

È cambiato anche il modo di selezionare i giocatori?
“Oggi i selezionatori di un ragazzo guardano subito se è alto e forte, mica se sa giocare a pallone o se si diverte con la palla. Contano centimetri e muscoli, in ogni ruolo, anche in Brasile è così. La qualità del gioco è destinata a calare per forza. Uno come me oggi non verrebbe mai scelto”.

Dove va il calcio della Fifa?
“Nella direzione sbagliata. Pensano solo ai soldi dei diritti tv. Il Mondiale a 48 squadre è assurdo: già 32 sono troppe. Quanto alle nuove realtà, in Asia non prevedo progressi: India e Cina non formano giocatori ma li comprano all’estero, così non cresceranno mai. Meglio l’Africa, che non a caso ha già vinto due Olimpiadi: se imparassero la disciplina tattica…”.

Eredi di Zico in giro? Tipo Neymar?
“Non mi piaceva quando volevano che fossi l’erede di qualcuno. E quanto mi picchiavano, in tutte le partite, appena iniziarono a dire che ero il nuovo Pelè… Non è giusto dire che Neymar è il mio erede. Di sicuro è uno dei tre migliori del mondo con Messi e Cristiano Ronaldo”.

Lei è a Udine in pellegrinaggio d’amore tra la gente, nessuno l’ha dimenticata…
“Nel calcio e nella vita la cosa più bella sono i ricordi che ti porti dietro. Qui sono stato felice. Mi voleva il Milan nel 1980, venne a Rio, ma il Flamengo non mi lasciò andare. Poi ecco l’Udinese nel 1983. Ricordo l’arrivo, migliaia di persone in piazza, e dire che mi avevano detto che era un posto freddo. Ho dato gioia a tante persone, ne sentivo la responsabilità. Era un calcio diverso, oltre al fatto che la serie A era il torneo più importante del mondo: adesso i giocatori devono pensare solo alla partita, noi avevamo strutture così così, ci allenavamo in un vecchio stadio, non c’era neppure la doccia calda, ci portavamo da soli la borsa con la maglietta e l’accompagnatore Casarsa ci raccomandava di non perderla ché c’era solo quella… Facemmo bene e il primo anno perdemmo l’Uefa all’ultima giornata contro il Milan, ma io non stavo bene. Mi ero strappato un muscolo mesi prima, in un’amichevole a Brescia che non si doveva fare, troppo freddo, ma sapevo che la gente veniva a vedere me e per generosità giocai. Troppo, e mi feci male. Era una bella Udinese, giocavamo alla pari con le grandi che all’epoca erano Juve e Roma, ma ci accorgevamo che avere la maglietta dell’Udinese ci penalizzava contro certi club: gli scudetti si vincono in campo, ma anche fuori. Poi tutto finì perché i dirigenti iniziarono a litigare. Ma mi piace pensare che il mio passaggio a Udine abbia cambiato la storia della città e del club: ho girato tanto il mondo, dal Giappone all’India, dall’Iraq all’Uzbekistan, e dovunque è spuntato un friulano, o qualcuno che mi parlava dell’Udinese”.

All’Italia è legato il suo ricordo più brutto ai Mondiali?
“Ne ho giocati tre, 1978, 1982 e 1986, non sono mai andato in finale ma ho perso una sola partita, quella contro l’Italia al Sarrià. Giocò con esperienza e furbizia, e a ogni nostro errore segnava Paolo Rossi … La maglietta che Gentile mi strappò? Faceva parte del gioco. Noi non eravamo affatto male, eh? Era una squadra rodata da tre anni, mentre quelle del ’78 e ’86 furono cambiate in corsa. Il Brasile del 1982 è come l’Olanda del 1974 o l’Ungheria del 1954: era la più forte e non vinse”.

L’Italia ora è cambiata…
“È calato il livello dei club, alcuni hanno perso identità. È rimasta solo la Juve. Con la nazionale e in Champions vi si vede poco, la serie A è dietro Premier, Liga e Bundesliga. Ma sono periodi così, capitano. Anche in Brasile abbiamo una crisi di talenti: negli ultimi anni ricordo solo Diego, Robinho e Neymar, troppo poco”.

Lei ha assistito a Real-Napoli e a Psg-Barcellona: giudizi?
“Il Napoli al ritorno può farcela, ha le qualità per vincere 2-0, ma deve stare attento al contropiede di Cristiano: micidiale. Il Psg ha giocato la partita della vita, come era giusto, il Barça invece una partita normale, ho notato che tra i giocatori c’era un clima sbagliato. E vincere 4-0 si può, ma dover vincere 4-0 per forza è dura…”.

Il consiglio di Zico ai giovani calciatori?
“Vivere con il piacere di avere il pallone tra i piedi, divertirsi, cercare la gioia nel gioco. Non pensate subito che sia una professione, come vogliono molti genitori per diventare ricchi. Il calcio è per prima cosa felicità”.
 

Fonte: Repubblica

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