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Montali: “Il fair play dell’Uefa mi ricorda Il Gattopardo: nulla deve cambiare”

ROMA – Indossava la giacca anche in panchina, quando collezionava medaglie olimpiche e successi continentali nel volley. La giacca è poi diventata una divisa da manager: ieri nel calcio, oggi nel golf, da d.g. del Progetto Ryder Cup 2022. Tante prospettive, un solo sguardo, quello di Gian Paolo Montali. Con Juventus e Roma ha scoperto il concetto di fair play finanziario, scardinato dall’uragano Neymar. Con i ricchi sempre più lontani dalla middle class del pallone.

Montali, come si riducono queste distanze?
“Nel calcio sono gli interessi di contorno a favorire le posizioni dominanti: agenti, mediatori, presidenti di società. Ma io non mi stupisco di fronte all’affare Neymar, l’importante è rispettare le regole. Il problema è se sono poco chiare, se non c’è un modello culturale in cui tutti credono. Il fair play Uefa mi ricorda “Il Gattopardo”: cambiare perché nulla cambi. I migliori studi legali del mondo lavorano agli escamotage per dribblarne le regole”.

Quello che sembrava volesse fare il Psg per Neymar.
“Sarebbe clamoroso se davvero avesse pagato Neymar i 222 milioni. Non so come riusciranno a spiegarlo, alla Uefa. Gli imprenditori nello sport si dividono tra chi si impegna a rendere le società sostenibili e chi ci mette soldi propri, rischiando il default per passione. Conosco Fassone e capisco l’idea del Milan. Per creare entusiasmo spendi il budget di 3-4 anni in uno solo: fidelizzi e aumenti subito la competitività “.

Gli Stati Uniti però hanno scelto regole diverse, come il salary cap, con lo scopo di garantire la competitività.
“Lì lo sport genera indotto a vantaggio della comunità. Nella cultura europea lo sport è un veicolo per ottenere successo e visibilità: esiste il libero mercato di giocatori, che alimenta mediatori, agenti. Negli States ci sono regole che definiscono la stabilità di sistema ed evitano posizioni dominanti. Aumentando la competitività, come fa la distribuzione degli atleti attraverso un draft. Ne guadagna lo spettacolo, qui se ne infischiano: ci sono società che fatturano 5-600 milioni e altre che ne guadagnano sessanta ma giocano la stessa competizione”.

Dovremmo emulare gli americani?
“È un problema di cultura sportiva. Negli Usa i giocatori li formano i college, le università top sono quelle che hanno i migliori programmi sportivi. E gli atleti che ne escono hanno una formazione di altissimo profilo. In Europa non c’è un sistema simile, solo esperienze individuali. La Juve ha rilevato un albergo e costruito una scuola: ha creato un modello. Il Barcellona è un’eccellenza”.

La scuola italiana è dietro?
“Casi virtuosi esistono: a Parma dei licei scientifici allevano ragazzi delle nazionali di rugby. Regge il sistema dei corpi militari. Manca però qualcosa a livello scolastico. Rispetto alla Francia, abbiamo 4 ore di educazione fisica in meno a settimana. Hanno eliminato i centri sportivi scolastici, cancellato i Giochi della Gioventù. Le palestre sono chiuse da maggio a settembre, 3 mesi in cui potrebbero essere utilizzate per fare attività motoria, che fa risparmiare soldi alla sanità. Ma serve incentivare la gente”.

Invece il numero di sedentari è in aumento.
“Con la Federgolf lavoriamo a un progetto strategico. La commissione mondiale della sanità dice che bisognerebbe fare 10mila passi al giorno: in un percorso di golf sono circa 12mila. Lo sport è salutare, evita malattie cardiovascolari e respiratorie. Il governo ha messo a disposizione 100 milioni per infrastrutture sportive utili a farne a buon livello”.

Qual è l’importanza di avere impianti nuovi?
“Senza stadi adeguati non ti danno le grandi manifestazioni. Lo sport è sempre più televisivo. Da noi si spende per i giocatori e poi si fanno esibire in stadi fatiscenti. Il dg della Ligue1 dice che l’Italia non è più un modello. L’Olimpiade appena assegnata farà piovere miliardi, che arrivano dai diritti tv in previsione. Ma in Italia ci siamo impegnati per non avere i Giochi a Roma, che occasione migliore poteva avere una governance per affermarsi?”.

Voi siete riusciti a portare in Italia la Ryder Cup.
“Quando a Franco Chimenti è venuta l’idea, gli davano del visionario. Senza Lotti e Malagò sarebbe stato impossibile. Poi è servito un anno per avere il contributo dal governo. Stesse difficoltà per i mondiali di sci a Cortina. Idee? L’innovazione è caratterizzata da 3 pilastri: competizione, unicità, paura. La paura ti costringe a far meglio. E coerenza: un capo coerente, è un capo che vale”.

Fonte: Repubblica

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