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Squalifica San Paolo e cori discriminatori. Ma la ‘colpa’ non è solo di Tosel

Era nell’aria ed è arrivata l’ufficialità: per il Napoli due gare a porte chiuse per il ‘comportamento dei propri tifosi’ all’Olimpico durante la finale di Coppa Italia. Per la Fiorentina curva Fiesole chiusa un turno (ma con condizionale) per i cori anti Vesuvio. È questa la decisione del Giudice Sportivo della Lega di serie A sui fatti della finale di Coppa Italia.

Dal comunicato ufficiale si evincono i motivi che hanno portato alla decisione di Tosel, nonché la conferma della trattativa con i tifosi (smentita però dal Ministro degli Interni poche ore dopo l’accaduto). Ecco gli atteggiamenti contestati ai tifosi del Napoli: 1) la forzatura di un cancello di pre-filtraggio. 2) lesioni di varie entità ai danni di quattro agenti prima della partita; 3) i fischi all’inno nazionale; 4) la minaccia di “invadere il campo” (riferita dagli steward ai collaboratori della Procura federale) “qualora il capitano della loro squadra non si fosse recato sotto la curva per parlare con i capi degli ultras”; 5) la maglia “color nero che, nella parte anteriore, esibiva la dicitura “Speziale libero”, spregevolmente allusiva all’uccisione di un servitore dello Stato, indossata da “un individuo, postosi a cavalcioni della vetrata delimitante la Curva Nord”, ossia Genny ‘a Carogna; 6) il lancio di petardi e di bengala, con conseguenze lesive per un vigile del fuoco; 7) l’invasione di campo di circa 200 sostenitori del Napoli, che “si appropriavano” di palloni, tute ed altri accessori presenti sulle panchine e si avvicinavano alla Curva Sud, occupata dai tifosi della Fiorentina, rivolgendo loro gesti provocatori. La società viene sanzionata con l’obbligo di disputare due gare a porte chiuse (l’ultima di campionato col Verona e la prima della prossima stagione) per l’atteggiamento gravemente intimidatorio assunto dai propri sostenitori (con minaccia ritenuta “grave e credibile”) e l’invasione “non certo festosa”. La sanzione è stata mitigata per l’atteggiamento collaborativo del club con le forze dell’ordine.

Squalificando per 2 giornate il campo del Napoli, il giudice sportivo della Lega ha scritto una brutta pagina di diritto sportivo. Una sentenza debole e con molte lacune, che non prende in considerazione diverse attenuanti se non esimenti, prime fra tutte il fatto che l’incontro era organizzato dalla stessa Lega e che il controllo dell’ordine pubblico non spettava alla società, senza dimenticare che una vera e propria condotta violenta grave da parte dei sostenitori azzurri non si è di fatto consumata. Probabilmente in appello sarà possibile commutare la squalifica di almeno 1 giornata in un’ammenda.
Nel frattempo sono arrivati Daspo a tifosi e squalifiche a campi di gioco, ma non la cosa più importante: le dimissioni di chi ha organizzato l’ordine pubblico di tale evento. ‘Se Genny ’a carogna fosse stato soltanto Gennaro De Tommaso, quanti titoli avrebbero fatto i giornali su di lui? Privo del suo truce soprannome avrebbe suscitato lo stesso clamore?’ Parole di Roberto Saviano, che meriterebbe profonda meditazione: si è spostata l’attenzione (mediatica) su ciò che (non) è accaduto allo stadio, piuttosto che interrogarsi e discutere del perchè e del per come ci sia stata una sparatoria prima della partita dove un ragazzo ora lotta ancora tra la vita e la morte solo per essere andato a vedere una partita di calcio.

Intanto la Procura di Roma per i fatti di domenica scorsa in occasione del posticipo pomeridiano tra Roma e Juventus ha chiesto alla Digos di indagare sugli striscioni apparsi allo stadio che inneggiavano a De Santis (colui il quale è accusato di aver sparato a Ciro Esposito). Per questo e per i cori contro i napoletani, il giudice sportivo Tosel non commina alcuna squalifica alla curva romanista, se non 50mila euro di multa.

Analizzando queste mancanze di uniformità di giudizio, di primo acchito, l’unico responsabile a cui imputeremmo ciò è il giudice sportivo, tale Giampaolo Tosel. Ma questi in effetti ha solo applicato la legge, ha eseguito ciò che tutti i Presidenti di calcio hanno voluto: tra le nuove disposizioni, è scritto che i cori per essere sanzionati devono essere percepiti in maniera diffusa e non cantati da gruppi isolati, come parrebbe essere accaduto domenica scorsa all’Olimpico. Sono stati quindi proprio i dirigenti delle società a chinare il capo e a depotenziare la norma sulla discriminazione territoriale. Perché così volevano i tifosi organizzati.
Il problema è ai vertici del calcio italiano. Quello che le autorità sembrano non capire è che stanno giocando col fuoco.

Giuseppe Di Marzo

 

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