BRASILE 2014

Mondialfest, Germania campione per la quarta volta

Se il primo giorno del Mondiale ci avessero detto che la finale sarebbe stata risolta da uno che si chiama Mario, ci saremmo fregati le mani e avremmo offerto spumante a tutti. Tocca invece brindare a birra alla salute di Mario Götze, match-winner tedesco di una finale a lungo bella e, nell’ultimo tratto, intensa come una scarica di energia. Fino alla soluzione del 113’ – tre minuti in meno di quanti furono necessari a Iniesta nel 2010 – con Götze che assorbe di petto e infila di sinistro il bel pallone di Schürrle. Una gemma. Sull’erba meravigliosa del Maracanã – è stato un privilegio vivere un mese in Brasile, che per noi resta il Paese del calcio – crollano due sconfitti: l’Argentina ardente che è rimasta in partita fino all’ultimo e avrebbe anche meritato di giocarsela ai rigori, e il declinante Leo Messi di questi tempi tristi, nei quali non gli riescono più i numeri favolosi della sua leggenda, e chissà se mai torneranno. La Germania è la prima nazionale europea a vincere il titolo mondiale in Sudamerica (l’impresa opposta era riuscita al Brasile in Svezia, nel 1958), sale a 4 Coppe come l’Italia e non potrebbe esserci circostanza più illuminante di questa sul suo valore: la costruzione di Löw è arrivata a compimento, e non sarà facile liberarcene – si fa per dire, mentre li ammiriamo alla premiazione (quanti fischi a Dilma e a Blatter) – nei prossimi grandi tornei. Sono giovani, fortissimi, compatti e hanno i bilanci a posto: tedeschi, insomma, non a caso la Merkel – beata lei – è lì che esulta col suo tailleur così poco glamour.
Bella partenza La soluzione ai supplementari arriva dopo una finale da ricordare malgrado l’assenza di gol. Il tema portante di un primo tempo davvero bello è la pericolosità. Quella dei tedeschi è un’angoscia con la quale Mascherano e la sua ciurma sono costretti a convivere perché non c’è un movimento fra le linee di Müller che non faccia correre un brivido gelato lungo le loro schiene. Dall’altra parte l’Argentina si accende a intermittenza, ma quando accade i tedeschi provano un terrore cieco, perché gli uno contro uno con la sola porta come sfondo sono frequenti, prezzo da pagare per tenere la squadra corta e soprattutto alta. E in una situazione così estrema, fatalmente gli errori arrivano: prima Kroos disegna di testa un inspiegabile retropassaggio che rimette in gioco Higuain, ed è incredibile la presunzione con la quale il Pipita tenta un difficile tiro al volo anziché aggiustarsi la palla – ne avrebbe tutto il tempo – e mirare un angolo. Poi è Mascherano a perdere un pallone banale, e nel gioco degli scarichi il tiro tocca a Kroos, che centra Romero.
Disordine imperante La perdita di Khedira – infortunatosi nel prepartita – sembra condizionare la Germania, anche perché il sostituto Kramer patisce presto una botta che lo lascia groggy, e quando Löw si risolve a immettere Schürrle cambia il modulo (ora attaccanti e assimilati sono quattro) e tutto ciò è comunque disordine, la cosa che i tedeschi – non soltanto su un campo di calcio – temono di più. Disordine sono anche le percussioni di un ispirato Lavezzi e quelle, rare, di Messi, che ne ha per qualche serpentina (inoltre, vomita ancora). In realtà una ce n’è, al minuto 40, e nemmeno il portentoso Hummels riesce a tenere la fuggevole versione mannara della Pulce. Ma un recupero di Boateng evita che il tocco dal fondo di Leo inneschi un compagno. Molto bravi, a chiusura del bilancio del primo tempo, sia Rizzoli che i suoi assistenti: prima Stefani toglie giustamente un gol a Higuain, di un metro in fuorigioco, poi Faverani individua l’offside di Müller dopo che Höwedes, di testa da corner, aveva timbrato il palo.
Germania in controllo La ripresa segue lo stesso spartito, ma con una Germania più determinata a mantenere il possesso palla, a costo di una ragnatela di passaggi orizzontali che permettono alla difesa argentina di schierarsi con maggiore calma. Il viceversa è il solito, attaccanti in maglia blu a danzare sul filo del fuorigioco in attesa dell’attivazione via lancio (dopo l’ora di gioco nessuno porta più su il pallone manovrandolo): ma Sabella ha commesso l’errore di togliere l’ottimo Lavezzi per Aguero, e quindi non ha più nessuno fra le linee, se non il dormiente Messi. Così, quando Palacio prende il posto di Higuain, il potenziale offensivo argentino cala vistosamente. E i 90’ finiscono con una Germania ormai in controllo. I supplementari sono una storia di gambe, dopo sette partite pesanti per tutti, e di leadership, con Mascherano e Schweinsteiger decisamente più presenti di Messi e Müller: si vede persino il sangue, del vecchio Schweini, graffiato da un Aguero che in altro modo non riesce a incidere, come del resto Palacio, che ha una chance capitale ma se la pappa senza ritegno. Sembrano tutti rassegnati ai rigori. Sembrano. Mai fidarsi dei tedeschi che si chiamano Mario.

La Gazzetta dello Sport

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