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Disastro azzurro: addio Champions e ora il progetto-Napoli è un ammasso di rottami

Il progetto è una palla di carta straccia che brucia trentacinque milioni e la statura d’un club imploso in se stesso, nella sua ossessionata volontà di spaccare l’euro e di investire a colpo sicuro. Il progetto-Napoli è ora un ammasso di rottami che sommergono una città disillusa da un mercato piatto, asfissiato, privo non solo d’investimenti ma pure d’idee coraggiose e mentre la musica della Champions s’alza nella notte del san Mamés non restano i rimpianti ma anche l’impietosa analisi a cui trascina l’immagine sbiancata d’una squadra pallida, depredata persino della sua ispirazione nel far calcio: l’Europa scintillante è meritatamente dell’Athletic Bilbao, che domina pure il ritorno e che sontuosamente (3-1) sculaccia il Napoli per ciò ch’è stato, per ciò che avrebbe dovuto essere.

La pressione. La Champions è dell’Athletic e s’intuisce in fretta ch’è scritto nel san Mamès ma pure altrove, al san Paolo otto giorni prima ad esempio, perché la differenza è nella testa, nelle vibrazioni, nel sentimento e ciò ch’emerge del Napoli sono i difetti di sempre, rimasti lì in tre mesi a cercar mediani. E’ una sfida per uomini veri, ma è un match sbilanciato, immediatamente preda del forcing asfissiante che l’Athletic decide di andare a portare su chiunque tenti di palleggiare, da Rafael in su. Bisognerebbe togliersi da dosso e da dentro la zavorra dello stress e mostrare l’espressione da scugnizzo che Hamsik (8′) esibisce nella percussione a sinistra, «scarabocchiata» da Callejon, o anche il piglio autoritario d’Higuain (16′) che dai venticinque metri fa barcollare Iraizoz. Dettagli.

Le strategie. Benitez ha scelto di modificare (dentro Ghoulam per Britos e Mertens per Insigne, confermato Gargano nel mezzo), Valverde ha preferito ribadire le proprie certezze del san Paolo: il copione è nei fatti, esclude i calcoli, rimuove il tatticismo, ispira atteggiamenti mai cauti e mai eccessivi, però decisi. I dettagli hanno un peso, potrebbero averlo, e l’Athletic dai corner sa far male: la capocciata di Gurupegi (23′) sa di mezza condanna, è limpida, nel vuoto che gli sta intorno, ma è solo tremarella per Rafael, graziato. E’ il momento-chiave, con il san Mamés che ondeggia e il Napoli che sembra stia per sgretolarsi: lo tiene in piedi Rafael (23′) sul cross avvelenato di Rico, lo risparmia Laporte (27′) che deve accomodarla in porta e prenotare i voli per la Champions e invece la manda in curva.

Occupazione. Ma c’è troppo Athletic Bilbao, capace di prendersi la metà campo avversaria e di tenerla, e non s’intravede il Napoli, schiacciato all’indietro, ricacciato in avanti dalle urla di Higuain. E’ la stessa sceneggiatura dell’andata. E ciò che Hamsik regala (2′ st) è una flebile illusione, la speranza di poter vivere un autunno da leoni: 0-1. Ma chi ruggisce è l’Athletic che in dodici minuti ribalta il Napoli, lo demolisce anche grazie alle debolezze d’una difesa disastrosa: il pareggio è da brividi, confezionato in un museo delle cere che permette ad Aduriz il tap in; ma il 2-1 è catastrofico, figlio d’un erroraccio di Albiol e Rafael, capaci di scontrarsi sul più anonimo dei palloni e di lasciare al centravanti basco la gloria della Champions. Il Napoli non c’è – ammesso che sia mai comparso – ha smarrito il senso delle posizioni ed avverte le vertigini di chi sa sul ciglio del baratro, dove lo spinge Ibai Gomez, a braccia levate come un ciclista in fuga, tra statue disorientate, forse anche per una posizione di fuorigioco madornale di Aduriz che però (interpretazione dell’anno scorso), centimetri alla mano, non sfida” nessuno, nemmeno quelli del Napoli (forse Maggio, forse), persi nello sguardo, nella dignità d’una Europa ch’è piccola ma piccola così. E ora, chissà qual è il progetto.

Corriere dello Sport

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