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Rottura del crociato, per Insigne stop dai quattro ai sei mesi

L’INTERVENTO. Ma è già chiaro al minuto ventidue di quella serata maledetta che debba pensarci il professor Pierpaolo Mariani, perché chi gioca avverte i messaggi dell’anima ma innanzitutto quelli del corpo, ed è scontato che Villa Stuart sia la dimora d’un calvario che ha scadenze – protocolli – ormai scandite a memoria dal dottor Alfonso De Nicola: «Purtroppo ci siamo già imbattuti nella passata stagione in incidenti del genere, con Mesto e con Rafael, per i quali c’era anche interessamento del menisco: in genere, per recuperare, serve un periodo che può variare da quattro a sei mesi. Ma Lorenzo ha carattere e e troverà dentro di sé l’energia per riprendersi: ha uno stile di vita inappuntabile, è un professionista vero ed è un gran lavoratore».

OK. Un’ora e un quarto e via verso il futuro, provando a sopprimere l’umanissima rabbia e quella sensazione d’impotenza: era tutto così straordinariamente bello, l’estro dei momenti migliori, il test (dalla distanza) per solleticare Neto, l’intesa con Hamsik ed Higuain, quelle scariche d’adrenalina per pomeriggi e nottate d’un azzurro intenso da godersi tra il Napoli e la Nazionale di nuovo sua. E poi quella palla inutile, rincorsa generosamente, l’incolpevole Ilicic da scansare e l’atterraggio sulla buca sistemata dalla dea bendata, ch’è cieca per davvero.

LA FIDUCIA. Un’ora e un quarto d’intervento e si riparte: per non far scivolare via interamente la stagione, per esserci nel momento cruciale, magari verso aprile, ed annusare la primavera, e riprendersi la scena e tornare ad essere Lorenzino Insigne, il “monello” ritrovato (e in che modo) ora a sinistra e poi a destra, come assist-man e come ideologo della fase offensiva, come incursore e però pure come difensore aggiunto. E’ fatta, e non c’è posto per aver rimpianti, perché mica è dipeso da lui: e vabbè che stavolta, appena uscito da quei settantacinque minuti d’inferno, circondato da mamma e papà, dalla moglie e dai procuratori, da un affetto collegiale che arriva dagli amici sparsi in ogni angolo del calcio, vorrebbe far correre come un’indemoniata la lancetta dei secondi e strappare le pagine del calendario e cancellare, se fosse possibile, questa forbice tra il nulla che avverte in sé e l’ansia che vorrà sentire galoppare quando potrà cominciare a guardare De Nicola, il medico, e chiedergli di scandire i secondi che lo separano dal rientro. «Io sono fiducioso. In questi casi, il cervello ha una funzione determinante e Lorenzo è un ragazzo che saprà guarire non solo bene ma in fretta». Da centoventi a centocinquanta giorni: passeranno e resteranno ricordi.

Corriere dello Sport

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