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L’altra Italia-Israele: pallone e parole, la partita degli scrittori

ROMA – Italia-Israele si gioca domani Reggio Emilia, in palio punti per la qualificazione ai Mondiali. L’altra Italia-Israele invece si è giocata sulla tastiera. ‘Roma-Tel Aviv, Letteratura Football Club”: il calcio usato come tela su cui dipingere momenti di vita e solidarietà. ‘Rete’ è un libro nato da una idea di Marco Mathieu: 11 racconti, scrittori italiani e israeliani accumunati dalla grande passione per il calcio. Scaturisce da due incontri. Quello delle parole, disputato al Maxxxi di Roma, cinque racconti per parte. Quello del divertimento: campo di calcio di Cinecittà, 11 contro 11. In mezzo, un bagno di gioventù in una scuola media superiore del quartiere Prenestino, in uno di quei giorni in cui la sensibilità mostrata dai ragazzi manda a farsi benedire un classico luogo comune sui ‘giovani d’oggi’, la mancanza di cultura, di interessi ecc. ecc.

Formazione: 4-4-2 o il modulo che vi pare. Gavron, D’Amicis, Keret, Favetto, Trento, Slonim, Berg, Grande, Shalev, Simi, Vaiti: undici ladri di emozioni, capaci di cogliere le voce delle città e trasformarle in racconti di amicizia e lotta al pregiudizio. Storie non sempre a lieto fine, come quella narrata da Carlo D’Amicis, che si sviluppa nel 1990 intorno ad un tavolo annebbiato da un fumo intenso. Una di quelle sere in cui si mescolano tante generazioni di amanti del calcio. Chi è già proteso verso un mondo globale, chi invece respira solo la tradizione e ama parlare di quando, quaranta anni prima, era alla partita finale del Mondiale 1950 al Maracanà di Rio, per testimoniare la disperazione del popolo brasiliano mentre personaggi romanzeschi come Obdulio Varela, Chiggia e Schiaffino, portavano di peso l’Uruguay nella storia. Unico punto di contatto: sigarette e sigari accesi. Nella serata però non si parla di Chiggia, e neanche di Schiaffino, di Pelè o di Di Stefano. Succede quando McIllvanny, e al ‘Mc’ si capisce che è scozzese, propone il questito sul più grande talento del calcio che abbia fallito. E’ al quel punto che emege un nome sconosciuto ai più, Ghiora Schum.

Terzino, centrocampista, ala. Detta così è un giocatore universale: seconda metà anni sessanta, Maccabi Netanya e Hapoel non se lo sono fatto sfuggire. Bravo, fa segnare con i suoi cross precisi ma… Ma non entra mai nel vivo della lotta, accentrarsi è un tormento. Soffre di agorafobia, ha paura degli spazi larghi. Un nemico invisibile ma duro, un demone che relega un potenziale fuoriclasse ai bordi del campo. Ghiora lotta ed alla fine quei demoni li scaccia. Solo che ormai il pallone è un ricordo. Non gioca più da tempo quando qualcuno si chiede che fine abbia fatto, e invita la madre a raccontarne il destino. Una donna disperata che parla di come quella paura sia stata vinta, di come Ghiora non abbia  più giocato sulle fasce e si sia lanciato nel centro della partita. E’ morto in battaglia in Cisgiordania.

Un racconto drammatico, al quale se ne affiancano altri di tenore diverso. Come quello narrato da Jonathan Berg. Un giorno lontano alla vigilia dello Shabbat (la festa del riposo ebraico che viene celebrata ogni sabato), un ragazzino israeliano conosce il calcio in lingua araba, dapprima sintonizzandosi di nascosto dai genitori sul canale giordano che trasmette una partita del campionato, poi scrutando con un binocolo con campo lontano di Al-Bireh, quartiere della città palestinese di Ramallah, dove calciatori arabi stanno giocando una partita.

E poi c’è anche una storia tanto italiana scritta da Francesco Trento. Il passaggio che più diverte e lo sguardo ‘adulto’ di una bambina che si incrocia con quello ‘bambino’ di un adulto. Nel maggio del 2000, il giorno 14 per la precisione, la Juventus sta affondando nel fango di Perugia mentre la Lazio sta vincendo quello scudetto che manca da 26 anni. Un evento che, quando non sembrava possibile, spinge il protagonista ad acquistare due biglietti per un week end a Parigi con la sua futura sposa. La storia ruota intorno all’interrogativo del protagonista: Parigi o festa scudetto. Un senso di infantile inquietudine colta dalla bambina, che si preoccupa di rispondere con una frase emblematica: “Non sei portato per avere quaranta anni…” 

Fonte: Repubblica

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