Martino Scialpi è morto a 67 anni senza incassare il 13 miliardario
È morto a 67 anni. Quasi quaranta li ha trascorsi a guerreggiare con lo Stato, attraverso un’infinità di contenziosi e procedimenti nei tribunali. Fino all’ultimo istante della sua vita. Senza riuscire ad averla vinta. Martino Scialpi, venditore ambulante, era nato a Martina Franca. Nel 1981 aveva fatto tredici al totocalcio, o almeno così ha sempre sostenuto. La vincita, quella domenica di novembre appena iniziato, fu di un miliardo, tre milioni e 51 mila lire. Soldi che il commerciante non ha mai visto perché la vincita non gli è stata mai riconosciuta. Scialpi fu processato con l’accusa di aver truffato lo Stato. Ma venne assolto in via definitiva nel 1987 con la restituzione della schedina originale che ha sempre mostrato come una reliquia. Così per quasi 38 anni ha combattuto una battaglia giudiziaria. Su due fronti si sono schierati il Coni e un giocatore con la passione del Lotto e del Totocalcio. Nello scontro giuridico durato decenni si sono mescolati rivendicazioni di un diritto e il principio della sua avversione sostenuta da vari stadi dell’organismo burocratico statale.
Il «no» del Ministero delle Finanze
Pur non negando l’autenticità della schedina, il Ministero delle Finanze e il Coni si sono sempre rifiutati di pagare. La matrice del tagliando, hanno sostenuto, non è mai arrivata all’archivio corazzato del Totocalcio. Non c’era tra le matrici vincenti. La schedina giocata da Scialpi in una tabaccheria di Ginosa quindi o è stata rubata o andata dispersa. Il commerciante ambulante ha dichiarato di aver speso più di 500 mila euro in ricorsi legali e in viaggi per raggiungere i tribunali di mezza Italia, più della cifra che avrebbe dovuto incassare. Qualche anno fa ha pure scritto un libro, «Ho fatto 13», per raccontare la sua storia e il sogno di cambiare vita con il miliardo della vincita (con la rivalutazione monetaria, oggi corrisponderebbe a una decina di milioni di euro).
I 36 indagati
Nell’infinita querelle , nel 2016 un tribunale aveva iscritto nel registro degli indagati 36 persone per abuso d’ufficio, tra cui i vari presidenti del Coni che si sono succeduti in oltre 30 anni di cause, 11 magistrati dei tribunali di Taranto, Bari e Roma, ufficiali della Guardia di Finanza, un dirigente dell’Azienda Monopoli di Stato e alcuni avvocati del foro di Roma, di Taranto e dell’Avvocatura dello Stato. Considerata la complessità della vicenda e l’impasse a cui si era giunti, un giudice civile aveva sollecitato le parti a tentare una conciliazione in considerazione – scriveva nell’ordinanza – sia dell’obiettiva incertezza dell’esito della lite (resa palese dalle contrastanti ordinanze del 9 febbraio e 14 marzo 2012), sia della particolarità della vicenda oggetto di causa. Il Coni non ha aderito alla richiesta. Scialpi non s’è mai arreso. A costo di perdere molto, il tempo tra faldoni e atti giudiziari, il matrimonio (ha divorziato dalla moglie) e molti soldi spesi in debiti contratti per pagare gli avvocati. Un infarto lo ha stroncato. Ma non è detto che la vicenda si sia conclusa con il suo decesso. Ci penseranno molto probabilmente gli eredi a continuare la battaglia.
Corriere.it