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Tre partite in un giorno, quando il turn over era uno sconosciuto

ROMA – Un giorno di giugno del 1908: fa caldo, non caldissimo. L’ozono è un fronte granitico, ancora senza buchi. A riscaldare la terra ci pensano gli animi di una società che di lì a qualche anno farà i conti con la Grande Guerra. Un manipolo di ragazzi raggiunge la stazione Termini e scruta il binario: infinito, come infinito è il treno che lo sta per occupare. ”Mamma mia, mamma mia che treno lungo”, le sinuose mondine del Piemonte non esiterebbero a intonare la loro canzone. Qui però siamo a Roma: la destinazione è più a nord, ma il nord delle ragazze del riso è ancora più su. Si va a Pisa, e quei ragazzi rappresentano la squadra che nel football, gioco arrivato qualche anno prima dall’Inghilterra, va per la maggiore nel centrosud. La Lazio. Vanno a sfidare il Livorno, la migliore dopo un torneo al quale partecipavano anche Pisa e Lucca. Il treno è proprio lungo, mica è solo una canzone: terza classe, i sedili sono staffe di legno allineate. Sarebbero poco accoglienti in un tragitto da Termini a Trastevere, figuriamoci per andare a Pisa. E’ una questione di culo, ma stavolta la fortuna non c’entra. L’anno dopo lo chiamerà in causa Luigi Ganna parlando al cronista di turno: sensazioni ‘dolorose’ dopo essersi fatto 8 tappe in bicicletta, parecchie nettamente sopra i 300 km, sulle strade impossibili del primo Giro d’Italia.

E il fondoschiena è un serio problema anche per i giocatori della Lazio. Girano e rigirano su loro stessi per trovare una posizione decente. Lo fanno dopo aver esaurito gli argomenti. Si parla di tattica, è il leader Sante Ancherani a istruire i compagni su come bisogna stare in campo. Poi si cerca di riposare, ma non dopo aver preso un caffè. La macchinetta l’ha portata uno dei giocatori più esuberanti, Augusto Faccani.

I giornali intanto danno ampio spazio ad un fatto di cronaca di qualche anno prima. Gli ingredienti ci sono tutti. Un morto ammazzato famoso, il conte Bonmartini, una lady più o meno dark, Linda Murri, condannata insieme al fratello per aver messo in atto il piano criminale. La stampa commenta la grazia concessa alla contessa da Vittorio Emanuele III, sembra per una debito di riconoscenza verso il padre di lei, illustre medico, che aveva salvato dalla morte per tifo la figlia Mafalda. In terza classe i giornali non girano, quei ragazzi pensano solo a giocare a pallone ed a come godersi, con lo spirito goliardico di una gita scolastica, quella torre di Pisa che tanti sanno pendente solo per sentito dire. La terza classe fa diventare lunghissimo un viaggio già di per sé disagevole. Si arriva quando il sole è sbiadito da un pezzo. La stanchezza si fa sentire, quello stantuffare del treno, ripetitivo e spietato, è entrato nelle teste come un mantra. E allora un’osteria sembra un ristorante di lusso, le fettuccine fatte in casa un pranzo da signori e un bicchiere di vino nettare degli dei. Per non parlare della scuola comunale: giacigli di pagliericcio, allineati. Una meraviglia se paragonate a quei sedili di legno. Notte, riposo, sogni.

La mattina il bidello sembra assumere le sembianze di una crocerossina: ha in mano due fiaschi di latte e persino una fetta di pane per ogni giocatore. E’ la chiave perché la squadra (“Questi so ospitali, che dite giocamo?”) ‘accetti’ la protesta del Lucca, che vuole giocare con i romani, pena la minaccia di annullare il torneo. Lazio-Lucca, si gioca al mattino: finisce 3-0 per i biancocelesti. Che vittoria, ora bisogna solo concentrarsi sul Livorno. E invece no. Perché quelli del comitato organizzatore aleggiano con fare sinistro intorno al campo mentre i ragazzi sdraiati sull’erba cercano di recuperare energie in fretta e furia. Adesso tocca al Pisa minacciare l’annullamento del torneo, e l’atteggiamento dei giocatori cambia. Quel ”So ospitali, giocamo?” lascia spazio a “Mo che ce semo damoje ‘na sonata”. Giocano pure questa, e rispetto alla partita precedente riescono persino a migliorare: 4-0! Il più è fatto, solo che quel più non era neanche previsto.

La Lazio era arrivata a Pisa per giocare contro il Livorno. E contro gli amaranto ora finalmente giocherà. Il problema è che i ragazzi hanno passato già mezza giornata a correre senza risparmio. Per fortuna i pisani tiferanno per la Lazio contro il Livorno. Macché, nemmeno quello… La batosta appena presa ha lasciato il segno. I toscani, complici anche un paio di innesti dell’ultimo momento, sono uniti e compatti. Da non credere. E dai laziali parte un altro motto, stavolta di puro orgoglio: “Semo de Roma. Famoje vede lo stravede”. La partita è una battaglia, un teatro solo per primi attori. Formazione Lazio: Faccani, Marajeni, Dos Santos, Bompiani, Omodei-Zorini, Federici, Pellegrini, Corelli I, Corelli II, Ancherani, Saraceni.  C’è chi suona la carica, e questo non può che essere Sante Ancherani: oltre a giocare a pallone è un abile trombettista, tanto da riuscire ad entrare nella banda comunale. C’è lo straniero, Francisco Dos Santos: un portoghese con tanti amori. La scultura, la pittura e il pallone: quando vince una borsa di studio per l’Accademia delle Belle Arti di Roma unire l’utile al dilettevole è conseguenziale. Francisco ha tanto di cui parlare con i fratelli Corelli: i due infatti sono i figli di Augusto, pittore molto in voga nell’epoca. I Corelli, appena saputo di Pisa, hanno fatto il programmino: mattinata dedicata alle opere d’arte ed alla torre, nel pomeriggio la sfida al Livorno. Il fatto di passare tutta la giornata a giocare a pallone è talmente imprevisto da generare rabbia. E’ forse per questo che Corrado, il maggiore dei due, quando mancano 8 minuti al termine della partita senza che ci sia stato lo straccio di una rete, raccoglie le forze e parte con una delle sue accelerazioni. Corre a più non posso prima che l’acido lattico si impossessi definitivamente dei suoi muscoli, poi serve Ancherani che segna.  

Finita, finalmente è finita. C’è poco tempo per prendere targa e medaglie dei vincitori. Tre partite hanno prolungato la giornata, bisogna scappare alla stazione. Il treno parte e non aspetta. Già, non aspetta. Il Pisa-Roma è già andato, è necessario recuperare qualche altra coincidenza. Via quindi, senza esitazioni, su un carro bestiame per guadagnare il tempo perduto e soprattutto trovare un incrocio per tornare a casa. Gli sguardi attoniti e languidi delle mucche fanno da cornice ad uno dei giorni più lunghi della storia del calcio.
 
Fonti consultate:”Nel nido dell’Aquila” di Emilia Corelli (Eraclea edizioni); “Uomini nella storia” di Fabio Argentini ed Emiliano Foglia (Corriere dello Sport edizioni).

Fonte: Repubblica.it

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