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Quei due lampi di Recoba… nel giorno di Ronaldo

Ma siamo sicuri che il Fenomeno sia quello con la maglia numero 10? Quel pomeriggio di vent’anni fa, in tribuna a San Siro, è il commento più gettonato tra i tifosi interisti che erano accorsi per assistere alla prima di Ronaldo e si ritrovano improvvisamente al cospetto di un nuovo idolo. Due lampi dal nulla, due gol: benvenuto Recoba, per questa volta il Fenomeno sei tu.

Hubner-Ronaldo 1-0

31 agosto 1997, prima giornata di campionato: anche l’Inter di Gigi Simoni fa il suo debutto e non può che esserci curiosità attorno alla squadra che ha portato in Italia Luis Nazario da Lima. Alla grande festa è stato invitato anche il Brescia neopromosso, ma solo per recitare la parte della vittima sacrificale in cui Ronaldo potrà affondare i suoi dentoni. Il primo tempo scorre via: in tribuna si studiano con ammirazione le movenze del brasiliano, in curva si provano i primi cori e non ci si rende quasi conto che nel frattempo il buon Materazzi – papà di quel Marco che diventerà un simbolo dell’interismo – ha studiato bene le contromisure.

Arriverà, il gol arriverà; sugli spalti ci si tranquillizza a vicenda. E invece, mentre Ronaldo si affanna e Cervone gli respinge ogni tentativo e quando non ci arriva lui lo aiuta la traversa, ecco spuntare l’ingobbito Dario Hubner che con stop e giravolta su imbeccata di Pirlo fa secco Pagliuca con un gran tiro all’incrocio. L’attaccante stilisticamente più lontano da quel brasiliano che danza col pallone ha messo sotto l’Inter: 0-1 al minuto 73.

D’accordo, ma adesso ci pensa Ronaldo: siamo qui per questo. Migliaia di tifosi che si sono presentati a San Siro con la maglia nerazzurra numero 10 non possono essersi sbagliati. Basta aspettare e il destino si compirà, perché lui ne fa uno a partita, è scritto nei numeri con cui si è presentato. Intanto però ci si avvia verso l’80° e qualcuno inizia a non crederci più. Arriverà? Il gol arriverà?

Piacere, Chino

È in quel momento che San Siro si accorge di un ragazzino entrato in campo tra l’indifferenza generale proprio un minuto prima che il bisonte Hubner complicasse i piani di Simoni: maglia numero 20 a coprire un fisico esile, una ciotola di capelli in testa, due folte sopracciglia che incorniciano gli occhi dai tratti orientali. Lo chiamano Chino, ma è uruguaiano di Montevideo. In estate, quando è stato prelevato dal Nacional senza rubare le prime pagine dei quotidiani al suo più quotato coetaneo brasiliano (sono entrambi ventunenni!), qualcuno ha parlato di un sinistro capace di ogni tipo di prodezza, ma lì per lì sembravano racconti lontani, provenienti da altre epoche e altre terre in cui un giocatore può segnare da metacampo o permettersi di calciare un corner direttamente in porta. Roba da calcio sudamericano, dove i portieri tirano le punizioni e parano facendo lo scorpione. Figuriamoci se in Italia ti consentono di fare gol così. Da noi, in Italia, i portieri stanno in porta.

L’ora del pendolo

Al minuto 80 Benoit Cauet, anche lui all’esordio in maglia nerazzurra ed entrato in campo da pochi secondi, fa la prima cosa giusta della sua carriera interista: lavora un pallone sulla sinistra proteggendolo con il corpo e poi lo appoggia a Recoba che si trova a una trentina di metri in linea d’aria dalla porta. Recoba si sistema il pallone, solleva le sopracciglia a scrutare il posizionamento del portiere come farebbe uno intenzionato a calciare in porta e poi, sì, calcia in porta sul serio. Praticamente da fermo, piegandosi leggermente sul pallone alla sua maniera (ma ancora non lo sapevamo) e con la gamba sinistra che è un pendolo perfetto, come piace dire allo zio Bergomi. La palla percorre quella linea d’aria lunga 30 metri senza mai perdere potenza, seguendo una retta immaginaria che collega il piede mancino di Recoba all’incrocio dei pali più lontano e cogliendo tutti di sorpresa, da Cervone all’ultimo dei tifosi. Quei racconti sudamericani, allora, avevano un fondo di verità.

Cinque minuti più tardi l’Inter guadagna un calcio di punizione: stavolta siamo ben oltre i 30 metri, ma nulla sembra più impossibile per quel sinistro e a quel punto l’hanno capito tutti, da Cervone che ne piazza 5 in barriera (tra cui Pirlo, per una volta nei panni dello spettatore) ai compagni di Recoba che lasciano il pallone all’ultimo arrivato. Ci ha già provato Ronaldo, su punizione, nel primo tempo: zolla più vicina, traversa. Ma adesso si respira un’aria diversa, quasi magica. Bergomi sghignazza ancora a ricordare come “ci siamo spostati tutti per farla tirare a lui”, Fenomeno compreso, e Recoba ripaga la fiducia alla sua maniera. Nuova occhiata alla porta e sinistro stavolta a giro, a spolverare l’altro incrocio dei pali. Una meraviglia.

Minuto 80: palla sotto l’incrocio numero 1

Minuto 85: palla sotto l’incrocio numero 2

“Come calciatore è fenomenale”, commenta Gigi Simoni marcando l’accento su quel ‘calciatore’ per far intendere che il termine va inteso proprio letteralmente. Se invece volessimo soffermarci sul ‘fenomenale’ dovremmo scomodare gli antichi greci. Da fainòmenon, si usa in riferimento a ciò che si mostra, che appare. Il Fenomeno Recoba, quella volta.

Fonte: SkySport

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