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Corbo: “Con un semplice tweet, ADL torna al centro del villaggio”

Luciano Spalletti non è il primo allenatore d’Italia. Se lo pensa, è un suo diritto. Ma è la migliore scelta possibile per il Napoli in rapporto alle crisi del tempo. Almeno tre da valutare. C’è un club che non riesce a pagare lo stipendio a chi vince lo scudetto. C’un Napoli che conta gli incassi e sponsor persi per il Covid. C’è un presidente che ha credito con le banche, ma sente la responsabilità di aver trasferito interessi e figli dal cinema al calcio, dividendoli tra Napoli e Bari. I risultati tecnici e finanziari sono peggiori in serie C che in A.
Aurelio De Laurentiis non può che prendere Spalletti in una visione prudente del futuro. Alla decisione arriva logorato dal pessimo rapporto con Gattuso, che sperava di conquistare da solo la Champions, respingendo per un intero girone ogni tentativo di disgelo. Fino a sbattere frastornato sul Verona senza un minimo di protezione della società su un percorso minato da Var e dall’insospettabile furore degli avversari. De Laurentiis non ha più il coraggio per scommettere su un tecnico da scoprire, come gli riuscì nel 2015 con Sarri, l’uomo di un fantastico triennio. Ma non ha neanche incoscienza di inseguire Conte o Allegri, che chiedono squadre attrezzate e ingaggi tra 8 e 13 milioni, né un progetto per sradicare Gasperini da Bergamo, né l’umiltà per telefonare a Sarri, che aspettava con ansia uno squillo suo o del suo amico Cristiano Giuntoli, il direttore che lo propose l’altra volta.
Più che i nomi, De Laurentiis legge i cartellini del costo. Spalletti si colloca in una seconda fascia con i 3 milioni scarsi. Ne vale di più se ritrova la voglia di vincere in una misurata recita del ruolo. Se non eccede in protagonismo, è tecnico di sicura qualità tattica, di severa preparazione, di buon passato fino alle due curve pericolose che lo mandarono fuori pista. Le nastroteche Rai e Sky conservano le lunghe orazioni ai tempi di Roma e Inter. Forte del suo eloquio forbito, servito in un sontuoso accento toscano, quasi amasse ascoltarsi, Luciano Spalletti è uscito suo malgrado dalla Roma con il rancore di Totti e nell’Inter si è smarrito in un labirinto tra Icardi, Wanda Nara e Perisic, senza mai sedare i tumulti dello spogliatoio portato poi da Conte al titolo italiano.
Nei tweet Aurelio De Laurentiis dà il meglio. “Benvenuto Luciano faremo insieme un grande lavoro”. Non l’ha scritto per Benitez o Ancelotti, non si sarebbe messo alla pari dei pluridecorati allenatori. Né per Mazzarri, Sarri e, Gattuso accolti con formale cortesia come usano i presidenti con un buon dipendente. “Lavoreremo insieme”, scrive invece stavolta. Che significa? Poco ma tutto. De Laurentiis vuol tornare al centro, dopo che Gattuso l’ha tolto dalla scena, per correre da solo verso il disastroso epilogo.
Oggi il presidente offre la sua più leale condivisione di compiti ad un professionista che ha la sua stessa febbre di rivalse. In quel lavorare insieme, c’è forse l’illusione di poter fare da solo il management, come sotto sotto è convinto. È il lato debole dei presidenti. Ma Percassi a Bergamo che farebbe senza Sartori, Lotito senza Tare nella Lazio e quanti scivoloni ha contato Agnelli senza Marotta per seguire Paratici?
Il Napoli è atteso da un anno molto difficile. Accumula nella Filmauro a Roma, qui e a Bari (non solo per il Covid) una serie buchi. Stadi chiusi, sponsor spariti, 140 milioni lordi di stipendi da tagliare, urgenza di vendere senza svendere. Se riesce a “lavorare insieme” con Spalletti, se il suo nuovo allenatore è umile e motivato, se ha ben chiarito con Giuntoli questo è davvero il primo giorno di una svolta attesa dai 91 punti di Maurizio Sarri.

Antonio Corbo per Repubblica Napoli

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