PIANETA CALCIO

Anche i tifosi scendono in campo a Marassi, ma solo nella realtà virtuale

GENOVA – Strano calcio, quello in cui la realtà virtuale inizia a fare notizia più di quella del campo, dove pixel e animazioni diventano (quasi) più attesi delle giocate in carne, ossa e scarpini. Nel pomeriggio genovese di Genoa-Udinese, incontro dai tanti temi (dal ritorno di Juric a Marassi alla caccia al gol del capocannoniere Piatek) ma difficile da considerare “di cartello”, l’esordio più atteso è parso però proprio quello di “Genoa Virtual Reality”, il primo gioco al mondo di realtà virtuale disegnato per fan zone ed eventi a debuttare nel contesto della Serie A.

Un’applicazione di “immersione” con la quale i tifosi che hanno sfidato la giornata di pioggia per andare allo stadio hanno potuto provare e vivere virtualmente, – ma mai così verosimilmente, grazie a visori programmati ad hoc calati sugli occhi – tutto quello che di solito si segue dagli spalti, dall’entrata sull’erba del Ferraris con la maglia della propria squadra indosso alle azioni di gioco sotto porta, ovviamente nei panni di un calciatore. Una sorta di “invasione di campo” pienamente autorizzata che i genoani (in tanti) hanno potuto testare nel pre partita, e per il mondo del calcio – garantisce chi questo nuovo modo di vivere il pallone l’ha pensato – “apre nuovi, importanti scenari per coinvolgere e conquistare nuovi tifosi, soprattutto tra i più giovani”.

Ideato da una giovane startup nata nell’incubatore d’impresa della Bocconi di Milano e specializzata in contenuti di realtà virtuale e videoanimazioni di grafica 3D avanzata, la Orwell Vr, e lanciato nella sua versione “al rossoblù” a Genova ma di fatto “customizzabile” e adattabile ai colori di qualsiasi squadra (dall’Olimpico romanista era pure già passato un primo prototipo in salsa giallorossa, ancora da sviluppare), “in fondo stiamo parlando di un gioco, ma un gioco assolutamente serio”, spiega sul tema Andrea Antonelli, 46 anni, lo startupper che sta portando avanti questo progetto dal nome Virtual Soccer Zone.

“Con il visore di realtà aumentata sugli occhi il tifoso diventa calciatore, attraverso i suoi movimenti partecipa al gioco, può segnare o difendere la propria porta, in qualche modo – è la spiegazione del funzionamento della app – coinvolge anche chi non indossa il visore, che grazie a uno schermo dedicato agli spettatori e dotato di regia può assistere al gioco e a quello che sta vivendo il tifoso-calciatore nelle immagini del suo visore”. L’obiettivo non è però il semplice divertimento, anzi: “si tratta di un linguaggio vero e proprio, quello dell’animazione virtuale, che oggi viene parlato soprattutto dai cosiddetti millenials, gli under 18”. E cioè la categoria di ragazzi che più, numeri alla mano, sta mancando dagli stadi italiani.

Ennesima iniziativa di fidelizzazione portata avanti dal Genoa in queste ultime due stagioni, che potrà vivere di alti e bassi in campo sportivo ma in quanto a marketing e promozione social è da tempo saldamente ai vertici della classifica (solo nell’ultimo mese, ad esempio, la piattaforma social ufficiale del club rossoblù ha registrato un incremento di oltre 15mila seguaci), lo sbarco allo stadio della realtà virtuale è a suo modo “un anticipo della direzione che prenderà, per certi versi sta già prendendo il mondo dello sport”, spiega ancora Antonelli. Un mondo dove sempre più, oltre a quanto succede in campo, a contare è anche e soprattutto il contesto, il contenitore. Dal villaggio sponsor con cui animare il pre partita a – ovviamente – tutto il “confezionabile” in un prodotto tv.

Mentre si discute di movimenti da rifondare, qualificazioni ai Mondiali mancate e stadi da rifare, insomma, “i giovanissimi si allontanano sempre di più dal mondo del calcio per avvicinarsi a quello dei gamers virtuali, ai videogames, o agli sport che alla tecnologia si sono avvicinati prima”. È (anche) per questo, che “arricchire” le domeniche allo stadio con qualcosa di virtuale “può diventare uno strumento molto potente per intercettare le nuove generazioni e coinvolgerle per trovare nuovi tifosi: – concludono gli inventori del primo calcio virtuale mai visto in Serie A – lo spettacolo del nostro calcio deve lavorare per diventare più attrattivo, e questi strumenti sono perfetti per contribuire alla causa”. In gergo si parla di “fan engagement”, letteralmente “reclutamento fan”, e la cosa strana – forse anche un po’ triste – è che abbia bisogno di farlo persino il (o l’ex) gioco più bello del mondo.

Fonte: Repubblica.it

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